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Carlo Melotti
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'''Carlo Melotti''' (Castelfranco dell'Emilia, [[10 febbraio|31 gennaio]] [[1887|1882]] – Roma, 20 dicembre 1958) è stato un [[generale]] di Corpo d'Armata del [[Regio Esercito]] durante la [[seconda guerra mondiale]], noto per la sua opera in Grecia tra il [[1940]] e il [[1942]].
== Biografia ==
Carlo Melotti nacque nel 1882 a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Fu allievo sergente dal 30 dicembre 1899 al 29 giugno 1901 e fu assegnato al 1° reggimento granatieri.
Frequentò l'Accademia militare di Modena tra il 1903 e il 1905, da dove uscì con il grado di sottotenente dell'arma di fanteria, corpo dei granatieri, il 7 settembre 1905, assumendo il servizio al 2° reggimento granatieri di Sardegna.
A domanda, Melotti il 9 aprile 1908 viene trasferio al RCTC (Regio Corpo Truppe Coloniali), venendo assegnato, in Eritrea, al III° battaglione indigeni.
Rientrato in Italia il 13 settembre 1908, Melotti venne promosso tenente ed fu ritrasferito al III°/2° granatieri, impiegato dal 28 ottobre 1911 in Tripolitania, durante la guerra italo turca, rimanendovi sino al 24 aprile 1912.
Promosso capitano il 31 dicembre 1914, Melotti fu col 1° reggimento granatieri di Sardegna dal 24 maggio 1915 sino al suo ferimento al fronte il 21 agosto seguente.
Il capitano Melotti partecipò all'epopea del Monte Cengio quale aiutante di campo del pluridecorato Generale Giuseppe Pennella, comandante della brigata ''Granatieri'' e perciò il suo nome resta legato, nella storia, alla gesta epica compiuta dai Granatieri sugli Altipiani dalla seconda decade di maggio ai primi di giugno del 1916.
Al termine dei cicli operativi del 1916, tra i pochissimi ufficiali dei granatieri superstiti, Melotti era già decorato al Valor Militare con 4 Medaglie d'Argento, una di Bronzo e 2 Croci di guerra.
Promosso maggiore (anziantà 8 luglio 1917), Melotti in agosto partì ancora per la Tripolitania al comando del III°/1° granatieri. Il 18 giugno 1919 rientrò in Italia ed a settembre venne trasferito al ministero della guerra, per incarichi speciali, venendo qui promosso al grado di tenente colonnello a decorrere dal 1° settembre 1920 prima ed al grado di colonnello il 1° giugno 1928 dopo.
Dal 1° maggio 1930 fu nominato comandante del 1° reggimento granatieri di Sardegna e prese parte, nel 1934 – 35, alla missione italiana nelle Sarre. Rimase al comando del reggimento fino al 2 marzo 1935, data in cui venne trasferito al comando del corpo d'armata di Roma. Dal seguente 22 luglio fu nominato capo ufficio collegamento tra Regio esercito e Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Dall'8 settembre 1936 venne nominato comandante della VI^ brigata di fanteria a Milano.
Promosso generale di brigata dal 1° gennaio 1937 fu nomnato vice comandante della divisione di fanteria ''Legnano'', a Milano, incarico che lasciò nel luglio seguente per assumere quello di vice comandante della divisione di fanteria ''Granatieri di Sardegna'', a Roma.
Dal 12 settembre 1938 svolse l'incarico di addetto all'Ispettorato dell'arma di fanteria ed il 19 luglio 1939 fu promosso generale di divisione. Lasciò gli Alamari dalla sua giacca solo il 16 nvembre successivo, quando andò a prendere il Comando della 6^ Divisione di fanteria ''Cuneo'', che, una volta dichiarata la guerra (10 giugno 1940) fu intensamente impegnata sul fronte alpino occidentale (1940) e sul fronte greco albanese (1940/41). Dal 22 dicembre 1940 infatti, alla testa della sua divisione prenderà parte in quest'ultimo scacchiere operativo e dal luglio 1941 con le sue unità occuperà le numerose isole greche delle Cicladi e delle Sporadi, prendendo sede del suo comando nell'isola di Samo. Dal 31 gennaio 1942 fu trasferito per età nella riserva e rimpatriò. Per le sue doti di Comandante, mostrate sui fronti anzi detti, gli venne conferita l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia il 26 maggio 1942 e la promozione a Generale di Corpo d'Armata a titolo onorifico.
L'8 settembre 1943 si sottrasse alla cattura da parte dei tedeschi a Castelfranco, per poi ricongiungersi ad un comando italiano il 31 luglio 1944. Per quest'ultimo periodo verrà considerato in servizio e posto poi in congedo assoluto.
Dopo la tragedia della sconfitta, Carlo Melotti, non sentendosi in dovere di rinnegare un giuramento fatto al re, rifiutò di farne un altro in contrasto con il primo, ritenne perciò di ritirarsi dedicandosi anima e corpo ai commilitoni in congedo.
In un suo scritto trovato dopo la sua morte, si legge: "''All'Esercito ho dato il fiore ed il meglio della mia vita: allorché dovrò deporre le insegne potrò dire di aver indossato l'uniforme fedele al mio giuramento, con dignità, con onore, con nobiltà di propositi, con serena alterezza. Sento di aver servito il mio paese fedelmente e coscienziosamente''".
Presidente dell'Associazione nazionale dei Granatieri di Sardegna (sostituendo il generale Ugo Bignami) dal 18 dicembre 1945 al 20 dicembre 1958, volle - quello che allora sembrava un assurdo ed in mezzo alle vergogne, alla tristezza delle distruzioni di tutti i valori morali della Patria - ricostruire l'Associazione Nazionale Granatieri, perché attorno alle lacere Bandiere ritornassero i fedelissimi, i Granatieri in congedo di tutta Italia.
E attorno a lui l'Associazione si ricostituì. Il suo successo acquista oggi maggior valore se si considera che egli fu sempre in prima linea nella difesa dei valori dell'Esercito, dei suoi rappresentanti e delle associazioni d'arma. Vinse molte resistenze e non mancò di coraggio nell'affrontare i nemici politici senza peli sulla lingua e col coraggio che fu sempre una delle migliori qualità di combattente, di comandante.
L'adunata nazionale in Roma nei giorni 5-7 novembre 1955 fu la dimostrazione di quanto avesse saputo operare in profondità. A Roma convennero da tutta Italia 10 mila Granatieri in congedo e fu affermazione di disciplinata, imponente, alta italianità.
Carlo Melotti fu propugnatore e sostenitore instancabile dell'erezione in Roma del monumento ai caduti dell'Esercito per la difesa eroica della capitale fatta dai Granatieri nel settembre 1943.
La difesa di Roma era commemorata negli anni precedenti, solo o quasi come una gloria dei partiti politici di sinistra. Melotti volle che fosse ristabilita la verità, che fosse consacrato il sacrificio dell'Esercito che in quelle tristi giornate compì atti di coraggio e di eroismo disperato.
Domenica 29 maggio 1955, durante la cerimonia di inaugurazione di Porta Capena, pronunziò una magnifica orazione che destò la commozione e l'ammirazione dei presenti: "''Chi furono questi Eroi - egli disse - conosciamoli da vicino. Essi furono i Granatieri di Sardegna sul cui tratto di fronte durante tre giorni d'impari lotta nessuna infiltrazione ha potuto verificarsi, respingendo tutte le puntate nemiche, finché alle ore 16 del 10 settembre dalla passeggiata Archeologica e dal Circo Massimo, facendo perno sull'obelisco di Axum, il nemico aggirava il percosso schieramento di Porta S. Paolo''".
"''Dei 417 caduti nella difesa di Roma, ben 251 furono i Granatieri, tra i quali 11 ufficiali oltre ai 176 feriti". E quando Roma, fin dalle prime ore del pomeriggio di quel 10 settembre, era stata già invasa dal nemico, sull'Altare della Patria e sul Campidoglio, asserragliati a difesa, vi rimase ancora e fino alle 23 di sera, un pugno di Granatieri che impedì l'ascesa trionfale al nemico ed impedì ai tedeschi d'innalzare la croce uncinata sul sacro colle'' ".
Due erano state soprattutto le opere che Carlo Melotti, nella sua instancabile attività di Presidente Nazionale dell'Associazione aveva volute: la prima, e ne vide la realizzazione, era quella di lasciare un ricordo imperituro della gloria dei Granatieri al Cengio. Sulla più alta cima del Cengio, a ridosso del Salto del Granatiere, vi è ora un'ara votiva ed una grande Croce in traliccio metallico visibile da lontanissimo nella pianura.
La seconda che voleva grandiosa: l'adunata a Torino il 18 aprile 1959 per il trecentesimo anniversario della fondazione. Voleva salutare l'inizio del 4° secolo e affidarlo alle generazioni future dei Granatieri col vaticinio di poter conservare la, fede che i Granatieri hanno avuto sempre in ogni occasione degni continuatori delle Guardie di Carlo Emanuele II.
Purtroppo all'improvviso morì a Roma il 20 dicembre 1958.
In un suo scritto sì legge: "''Non lascerò ai miei figli che un solo patrimonio: quello dello spirito; ed essi di questo si sentiranno paghi e fieri al pari di me, perché sanno che la vera ricchezza dell'uomo non è nel suo avere, ma nel suo essere''".
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== Biografia ==
Carlo Melotti nacque nel 1882 a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Fu allievo sergente dal 30 dicembre 1899 al 29 giugno 1901 e fu assegnato al 1° reggimento granatieri.
Frequentò l'Accademia militare di Modena tra il 1903 e il 1905, da dove uscì con il grado di sottotenente dell'arma di fanteria, corpo dei granatieri, il 7 settembre 1905, assumendo il servizio al 2° reggimento granatieri di Sardegna.
A domanda, Melotti il 9 aprile 1908 viene trasferio al RCTC (Regio Corpo Truppe Coloniali), venendo assegnato, in Eritrea, al III° battaglione indigeni.
Rientrato in Italia il 13 settembre 1908, Melotti venne promosso tenente ed fu ritrasferito al III°/2° granatieri, impiegato dal 28 ottobre 1911 in Tripolitania, durante la guerra italo turca, rimanendovi sino al 24 aprile 1912.
Promosso capitano il 31 dicembre 1914, Melotti fu col 1° reggimento granatieri di Sardegna dal 24 maggio 1915 sino al suo ferimento al fronte il 21 agosto seguente.
Il capitano Melotti partecipò all'epopea del Monte Cengio quale aiutante di campo del pluridecorato Generale Giuseppe Pennella, comandante della brigata ''Granatieri'' e perciò il suo nome resta legato, nella storia, alla gesta epica compiuta dai Granatieri sugli Altipiani dalla seconda decade di maggio ai primi di giugno del 1916.
Al termine dei cicli operativi del 1916, tra i pochissimi ufficiali dei granatieri superstiti, Melotti era già decorato al Valor Militare con 4 Medaglie d'Argento, una di Bronzo e 2 Croci di guerra.
Promosso maggiore (anziantà 8 luglio 1917), Melotti in agosto partì ancora per la Tripolitania al comando del III°/1° granatieri. Il 18 giugno 1919 rientrò in Italia ed a settembre venne trasferito al ministero della guerra, per incarichi speciali, venendo qui promosso al grado di tenente colonnello a decorrere dal 1° settembre 1920 prima ed al grado di colonnello il 1° giugno 1928 dopo.
Dal 1° maggio 1930 fu nominato comandante del 1° reggimento granatieri di Sardegna e prese parte, nel 1934 – 35, alla missione italiana nelle Sarre. Rimase al comando del reggimento fino al 2 marzo 1935, data in cui venne trasferito al comando del corpo d'armata di Roma. Dal seguente 22 luglio fu nominato capo ufficio collegamento tra Regio esercito e Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Dall'8 settembre 1936 venne nominato comandante della VI^ brigata di fanteria a Milano.
Promosso generale di brigata dal 1° gennaio 1937 fu nomnato vice comandante della divisione di fanteria ''Legnano'', a Milano, incarico che lasciò nel luglio seguente per assumere quello di vice comandante della divisione di fanteria ''Granatieri di Sardegna'', a Roma.
Dal 12 settembre 1938 svolse l'incarico di addetto all'Ispettorato dell'arma di fanteria ed il 19 luglio 1939 fu promosso generale di divisione. Lasciò gli Alamari dalla sua giacca solo il 16 nvembre successivo, quando andò a prendere il Comando della 6^ Divisione di fanteria ''Cuneo'', che, una volta dichiarata la guerra (10 giugno 1940) fu intensamente impegnata sul fronte alpino occidentale (1940) e sul fronte greco albanese (1940/41). Dal 22 dicembre 1940 infatti, alla testa della sua divisione prenderà parte in quest'ultimo scacchiere operativo e dal luglio 1941 con le sue unità occuperà le numerose isole greche delle Cicladi e delle Sporadi, prendendo sede del suo comando nell'isola di Samo. Dal 31 gennaio 1942 fu trasferito per età nella riserva e rimpatriò. Per le sue doti di Comandante, mostrate sui fronti anzi detti, gli venne conferita l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia il 26 maggio 1942 e la promozione a Generale di Corpo d'Armata a titolo onorifico.
L'8 settembre 1943 si sottrasse alla cattura da parte dei tedeschi a Castelfranco, per poi ricongiungersi ad un comando italiano il 31 luglio 1944. Per quest'ultimo periodo verrà considerato in servizio e posto poi in congedo assoluto.
Dopo la tragedia della sconfitta, Carlo Melotti, non sentendosi in dovere di rinnegare un giuramento fatto al re, rifiutò di farne un altro in contrasto con il primo, ritenne perciò di ritirarsi dedicandosi anima e corpo ai commilitoni in congedo.
In un suo scritto trovato dopo la sua morte, si legge: "''All'Esercito ho dato il fiore ed il meglio della mia vita: allorché dovrò deporre le insegne potrò dire di aver indossato l'uniforme fedele al mio giuramento, con dignità, con onore, con nobiltà di propositi, con serena alterezza. Sento di aver servito il mio paese fedelmente e coscienziosamente''".
Presidente dell'Associazione nazionale dei Granatieri di Sardegna (sostituendo il generale Ugo Bignami) dal 18 dicembre 1945 al 20 dicembre 1958, volle - quello che allora sembrava un assurdo ed in mezzo alle vergogne, alla tristezza delle distruzioni di tutti i valori morali della Patria - ricostruire l'Associazione Nazionale Granatieri, perché attorno alle lacere Bandiere ritornassero i fedelissimi, i Granatieri in congedo di tutta Italia.
E attorno a lui l'Associazione si ricostituì. Il suo successo acquista oggi maggior valore se si considera che egli fu sempre in prima linea nella difesa dei valori dell'Esercito, dei suoi rappresentanti e delle associazioni d'arma. Vinse molte resistenze e non mancò di coraggio nell'affrontare i nemici politici senza peli sulla lingua e col coraggio che fu sempre una delle migliori qualità di combattente, di comandante.
L'adunata nazionale in Roma nei giorni 5-7 novembre 1955 fu la dimostrazione di quanto avesse saputo operare in profondità. A Roma convennero da tutta Italia 10 mila Granatieri in congedo e fu affermazione di disciplinata, imponente, alta italianità.
Carlo Melotti fu propugnatore e sostenitore instancabile dell'erezione in Roma del monumento ai caduti dell'Esercito per la difesa eroica della capitale fatta dai Granatieri nel settembre 1943.
La difesa di Roma era commemorata negli anni precedenti, solo o quasi come una gloria dei partiti politici di sinistra. Melotti volle che fosse ristabilita la verità, che fosse consacrato il sacrificio dell'Esercito che in quelle tristi giornate compì atti di coraggio e di eroismo disperato.
Domenica 29 maggio 1955, durante la cerimonia di inaugurazione di Porta Capena, pronunziò una magnifica orazione che destò la commozione e l'ammirazione dei presenti: "''Chi furono questi Eroi - egli disse - conosciamoli da vicino. Essi furono i Granatieri di Sardegna sul cui tratto di fronte durante tre giorni d'impari lotta nessuna infiltrazione ha potuto verificarsi, respingendo tutte le puntate nemiche, finché alle ore 16 del 10 settembre dalla passeggiata Archeologica e dal Circo Massimo, facendo perno sull'obelisco di Axum, il nemico aggirava il percosso schieramento di Porta S. Paolo''".
"''Dei 417 caduti nella difesa di Roma, ben 251 furono i Granatieri, tra i quali 11 ufficiali oltre ai 176 feriti". E quando Roma, fin dalle prime ore del pomeriggio di quel 10 settembre, era stata già invasa dal nemico, sull'Altare della Patria e sul Campidoglio, asserragliati a difesa, vi rimase ancora e fino alle 23 di sera, un pugno di Granatieri che impedì l'ascesa trionfale al nemico ed impedì ai tedeschi d'innalzare la croce uncinata sul sacro colle'' ".
Due erano state soprattutto le opere che Carlo Melotti, nella sua instancabile attività di Presidente Nazionale dell'Associazione aveva volute: la prima, e ne vide la realizzazione, era quella di lasciare un ricordo imperituro della gloria dei Granatieri al Cengio. Sulla più alta cima del Cengio, a ridosso del Salto del Granatiere, vi è ora un'ara votiva ed una grande Croce in traliccio metallico visibile da lontanissimo nella pianura.
La seconda che voleva grandiosa: l'adunata a Torino il 18 aprile 1959 per il trecentesimo anniversario della fondazione. Voleva salutare l'inizio del 4° secolo e affidarlo alle generazioni future dei Granatieri col vaticinio di poter conservare la, fede che i Granatieri hanno avuto sempre in ogni occasione degni continuatori delle Guardie di Carlo Emanuele II.
Purtroppo all'improvviso morì a Roma il 20 dicembre 1958.
In un suo scritto sì legge: "''Non lascerò ai miei figli che un solo patrimonio: quello dello spirito; ed essi di questo si sentiranno paghi e fieri al pari di me, perché sanno che la vera ricchezza dell'uomo non è nel suo avere, ma nel suo essere''".
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