2018年5月13日日曜日

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Storia di Vasto


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[[File:Vasto piazza Rossetti.jpg|thumb|260px|Vasto, veduta di Piazza Rossetti con le torri del [[Castello Caldoresco]] e il Palazzo Palmieri]]
La '''storia di [[Vasto]]''' è molto variegata e dinamica, e parte dal periodo italico dei [[Frentani]] dell'antica ''[[Histonium]]'', passando il periodo della ricostruzione longobarda della città (VIII secolo), quello dei [[Caldora]] e degli [[Aragona]], fino al Marchesato dei d'Avalos e alla rinascita economica e culturale dall'Ottocento in poi.

== Toponimo e stemma ==
[[File:Diomedes with the Palladion (Glyptothek).jpg|thumb|Statua dell'eroe [[Diomede]], il mitico fondatore della città secondo la leggenda]]
Vasto anticamente era chiamata ''Histonium'', nome si cui si sono soffermati numerosi storici. Alcuni geografi concordano nel localizzarlo nella "spiaggia" della regione Frentana ("in ora frentanorum histonium"); alcuni infatti affermano che Histonium deriva dall'etimo greco "Hiso(n)t", legato all'amenità del luogo "a situ et amenitate", che i Greci, secondo gli storici antichi furono ottimi maestri nell'edificare le città, scegliendo luoghi adatti. Ciò è legato alla leggenda del fondatore mitico [[Diomede]], figlio di [[Tideo]] il quale dopo la [[guerra di Troia]], approdando nell'Adriatico sul litorale vastese, fondò il primo luogo sulla terraferma, dopo essere sbarcato sulle [[Isole Tremiti]], che in origine erano chiamate "Isole Diomedee".

Dalla ''Storia di Vasto'' di [[Luigi Marchesani]] si apprende il cambio del toponimo Histonium a ''Wast'' o ''Guast'', dopo l'occupazione longobarda, che sta a indicare Gastaldia o Pretorio, ossia il distretto di una determinata area regionale con capoluogo. Pipino il Breve concesse il gastaldato di Histonium ad Aymone di Dordona, e il nome originario fu "Gastaldia di Aymone", poi "Guasto d'Aimone", e infine semplicemente "Guasto" (fino al XVI secolo), successivamente "Vasto Aimone" (o erroneamente detto Ammone), e infine semplicemente Vasto. Da supporre la successiva evoluzione del nome sia stata da Guast o Wast a Wasto, quindi per assonanza fonetica, con la pronuncia della W a Uasto, e per probabile serie di trascrizioni errate in ragione dell'incerta grafia dell'epoca in "Vasto".<br>Il nome proprio è maschile singolare (come [[Il Cairo]] e [[Il Pireo]]); la denominazione di ''Città del Vasto'' era presente nei documenti amministrativi fino agli anni '70 del Novecento, in memoria dell'istituzione del titolo di Città, di cui Vasto fu investita da [[Carlo VI d'Asburgo]] nel 1710. Dopo questi ultimi cambiamenti, il nome corrente comune è semplicemente "Vasto".

La tradizione storica vuole che Vasto sia stata fondata dai [[Traci]] dopo la caduta di Troia, e gli storici hanno trovato somiglianze con il monte "Iston", località vicino [[Corcira]], citata dallo storico [[Tucidide]] nel IV libro de ''[[La guerra del Peloponneso]]''. La leggenda vuole che nel 1184 a.C., con la caduta Troia, Diomede approdò sul litorale vastese, fondando la città, e che dopo la sua morte la città venisse amministrata da un altro re, che però avrebbe amministrato la città come una repubblica, fino al tempo di [[Giulio Cesare]], quando il [[Sannio]] fu annesso al dominio di Roma.<br>Dopo il crollo dell'Impero Romano, la regione Frentana nel 598 venne aggregata da Autari, re dei [[Longobardi]] al ducato di Benevento, e allo stemma di Istonio vennero tolte le insegne romane per essere sostituite da quelle longobarde: uno scudo partito in quattro angoli, due di color vermiglio (oro) e due di color bianco (argento), le medesime che furono date allo stemma di [[Benevento]].

Nell'802 la città fu incendiata dall'esercito di [[Pipino il Breve]], a comando di Aymone di Dordona, sceso in Italia per reprimere la ribellione del duca Grimoaldo di Benevento. Histonium venne affidata al "gastaldato" di Aymone, il quale si occupò della nuova ricostruzione della città, che fu chiamata Guasto d'Aymone. La parte romana prese il nome di Guasto Gisone. Lo stemma della Città si presenta suddiviso in quattro parti, recante i seguenti colori: argento e rosso sulla parte destra, il quarto d'argento e il quarto di sotto rosso; dalla sinistra il quarto di sopra il rosso e quello di sotto argento. Questi colori vogliono significare che l'argento è il candore dalla fede adamantina, il rosso dimostra vigore, carità e giustizia.

== Periodo italico-romano di Histonium ==

=== Origini, le città italiche di Buca, Erce e Pinna de Lucu ===
[[File:Vasto-Stemma.png|thumb|left|200px|Stemma di Vasto]]
La storia di Vasto inizia circa nel [[V secolo a.C.]]<ref></ref>, quando il promontorio di Punta Penna e il colle dove oggi sorge la città medievale furono colonizzati dagli [[Italici]], precisamente i [Frentani]], i quali realizzarono il secondo principale porto sull'Adriatico, dopo quello di [[Ortona]].<br>Delle prime campagne di scavo nel [[XIX secolo]] hanno riportato alla luce numerosi reperti presso Punta Penna. Su proposta del sindaco Pietro Muzii il 25 settembre 1848, i reperti rinvenuti dalla storico Luigi Marchesani vennero affidati ad un museo civico. Presso Punta Erce, durante gli scavi degli anni '90 del Novecento da parte dell'Università "Gabriele d'Annunzio", furono rinvenuti resti di capanne risalenti al primo millennio a.C., cioè alla fine dell'[[età del bronzo]], con tracce di ceramica d'uso domestico, vasellame d'importazione proveniente dalla [[Puglia]]. Presso Punta Penna, nella zona nord dove si trova la chiesetta di Santa Maria di Pennaluce, è emerso un pilastro con paravento di 18 di spaccato.<br>Da altri reperti più tardi, anche del [[V secolo]] d.C., si evidenzia che il villaggio fu abitato anche dopo il crollo dell'Impero Romano, fino all'invasione dei barbari. Ceramiche africane risalgono al V-IV secolo a.C.

Con certezza viene ipotizzata l'esistenza di un santuario italico, considerato il coagulo delle attività politiche, amministrative e religiose delle popolazioni frentane di tutta la fascia costiera, compresa tra il Foro (Ortona) e il Biferno ([[Termoli]]), con la [[Majella]] per confine occidentale. Storicamente documentata è la cittadella marina di Pennaluce, come testimonia l'anno 1239 di una ceramica ivi rinvenuta, all'epoca romana nota come "Pinna de Luco", ossia un'area sacra (il ''lucus'') con bosco recintato e dentro un tempio. Non si hanno informazioni su quale fosse la divinità venerata, ma probabilmente doveva essere [[Angizia]], [[Cerere]] oppure [[Ercole]], a cui gli italici d'Abruzzo erano particolarmente devoti. Nella sua ''Historia Marsorum'' (1768) Muzio Febonio ricorda che nel [[1600]] la popolazione de "La Penna" abbandonò il villaggio perché infestato da peste e serpenti, e ha ricollegato tale fattore al culto delle serpi degli antichi [[Marsi]], ma Alfonso Di Nola è di parere diverso, per quanto attiene all'accostamento dei serpenti, di cui il bosco di Angizia era invaso.<br>Con la conquista romana, la dea Angizia venne configurata con [[Cerere]], e ad essa era legato Ercole, simbolo della forza rigeneratrice del Sole, divinità italica, e ahche deio dell'acqua salata. Nell'antica ''[[Histonium]]'' sono stati rinvenuti reperti di templi, dedicati a Ercole e Cerere, oggi conservati nei Musei Civici del [[Palazzo d'Avalos]]. Una lapide recita HERVULI EX VOTO ARAM / L-SANCTIVS / L LIB.MODESTVS.MAG. / AVG.MAG.LARVM AVGVST. / M AG. / CERIALLIVM VRBANORVM /LD.D.D.D., riferita a Lucio Scanzio Modesto, e tale iscrizione è legata l tempio di Ercole di Vasto, ma è probabile che un altro tempio minore si trovasse nell'area di Punta Penna.
[[File:Figura del Nettuno.jpg|thumb|Mosaico del Nettuno presso le terme di Vasto]]
A creare dubbi sugli scavi di Punta Penna c'è la tavoletta di bronzo rinvenuta nel Novecento vicino la chiesetta di Pennaluce: un'iscrizione in [[lingua osca]] che indica due censori vastesi: Calvius Osidius Gavius e Vibius Octavius Ofius, i quali avevano controllo sull'intera confederazione frentana. Gli storici ipotizzano che abbiano restaurato il santuario, avendo molto potere non solo a Histonium, ma anche a Buca, piccolo villaggio presso Punta Penna.<br>Histonium, all'epoca greca della ''Histonion'' (Ἱστόνιον<ref name="dic"></ref>), fu citata anche dal geografo [[Strabone]], descritta come covo di pirati e predoni, la cui maggior parte delle case è realizzata con scarti di barche, e le cui genti sono assai rozze. Strabone, vissuto nel [[I secolo]] sotto ilo principato di [[Augusto]], fa riferimento a una situazione caratteristica del [[IV secolo a.C.]], poiché la città vera e propria, in seguito alle [[guerre sannitiche]] nel [[III secolo a.C.]] e alla definitiva conquista romana nel [[I secolo a.C.]] sotto la tirannia di [[Silla]], venne edificata sul promontorio della Vasto odierna. In precedenza era un agglomerato di ''touto'' sannite raccolte presso il promontorio di Punta Penna, come già detto, che fungeva anche da scalo marittimo commerciale.<br>Con gli scavi del 1993, sono stati riportati alla luce tre iscrizioni in lingua osca con i due censori, elementi votivi in terracotta e pietra calcarea di carattere sacro, un testo osco inciso sotto la base di un peso di stadera a forma di divinità, ossia una dedica a Giove Libero, l'esistenza di resti murari articolati secondo un progetto urbanistico monumentale unitario, materiali ceramici anforacei, pesi e iscrizioni in cui si fa cenno ad ammende verso mercanti.

Un'iscrizione ateniese del [[320 a.C.]] fa riferimento a un'attività di pirateria tirrenica nell'Adriatico meridionale, e ciò ha fatto avanzare ipotesi che Histonium fosse un covo di pirati [[Etruschi]], i quali avevano tessuto rapporti con altre cittadine marittime per le loro attività illecite. A Vasto copioso è il materiale archeologico; gli studiosi si sono posti, negli scavi, il problema di identificare con precisione le zone del primitivo nucleo italico sul promontorio di Punta Penna e Punta Aderci. Il primo problema è la collocazione del villaggio di Buca. Alcuni l'hanno fatta risalire a ''Peucezia'' ([[Bari]]), altri a ''Teano Appulo ([[Larino]]) oppure [[Termoli]]. I resti di Buca, consistenti in un teatro, due templi e mura, furono in gran parte utilizzati per la costruzione del Palazzo Marchesale dei d'Avalos, dopo la distruzione del precedente dai turchi nel [[1566]].<br>Le lapidi ancora visibili dimostrano come Buca fosse una città fiorente, una di essere dice: "Gli Interammati, gli Istoniesi e i Bucani, al benemerito di Marco Flavio, figlio di Quinto, Quatuorviro a giudicare le liti edili, Curatore delle strade Valerio-Claudia e Traiano-Frentana, il funerale, il sepolcro, il marmoreo e la maceria decretarono".<br>Un'altra lapide "parlante" fu dedicata dai Bucani all'imperatore [[Antonino Pio]], in attestato di pubblica riconoscenza. Nel 1882, compiendosi degli scavi presso Punta Penna, fu rinvenuta una colonna miliare in marmo bianco venato, alta 1,16 metri e di circonferenza 0,82. Tale colonna serviva lungo le vie per indicare la distanza da Roma e quella trovata, lungo la Traiano-Frentana.
[[File:Statua identificata con Cerere.jpg|thumb|left|Statua di Cerere, conservata al Palazzo d'Avalos]]
Buca sorge nella località Lotta (Punta Aderci - Mottagrossa), e fu provvista di porto. Nel [IX secolo]] d.C., quando [[Pipino il Breve]] entrò nel [[ducato di Benevento]] per reprimere la ribellione di Grimoldo, Buca fu assediata e distrutta dai Franchi. Nello stesso periodo Ungari e Turchi fecero più volte scorrerie, sicché venne completamente distrutta. Una leggenda narra che sul braccio destro dell'antico porto, che si internava di più nel mare, sorgesse una città nominata Aspra, poi sommersa da un cataclisma. Ciò spiega il come al tempo degli scavi nei pressi dell'insenatura furono trovati resti di mura e utensili domestici.<br>La terza città di Pinna de Luco (Pennaluce), fu l'abitato italico che ebbe vita fino al [[Medioevo]] del XIII secolo, nel 1252 già nel novero delle università, ed aveva dato nome al feudo in cui era compresa. Fornita di sicuro approdo, ben presto fiorente centro di traffici marittimi e privilegi concessi nel 1304 da [[Carlo III di Napoli]]. Nei primi anni del [[XIV secolo]] la peste decimò la popolazione e furono ridotte le tasse. Nel 1317 il centro fu amministrato da Carlo Arcus, nel 1391 da Ladislalo di Durazzo, che lo unì alla Contea di [[Manoppello]]. Una serie successiva di calamità e scorrerie ridusse il villaggio in rovina, completamente annientato nel [[XV secolo]]. L'area del villaggio corrisponde all'attuale [[porto di Vasto]], con il faro di Punta Penna e la chiesetta di Pennaluce.

=== La conquista romana e la costruzione di Histonium ===
Con la definitiva conquista di [[Silla]] nel [[91 a.C.]], il villaggio preesistente di Histonion venne ricostruito completamente, nel 117 fu incluso nella ''[[Regio IV Samnium]]'', comprendente l'Abruzzo, parte del [[Lazio]], il [[Molise]] e la [[Campania]], e assunse il toponimo di ''Histonium''. Gli Istoniesi, in virtù del loro valore dimostrato in aiuto di Cesare nelle campagne contro i [[Galli cisalpini]] e contro [[Annibale]], acquisirono dei privilegi, il ''municipium'' fu concesso da Augusto, il quale vantò anche i magistrati, senatori e sacerdoti. Ciò è leggibile in una lapide conservata nella facciata della chiesa della Madonna delle Grazie. La lapide, dedicata a Pachio Candido recita: AED CEREALIS PAHIUS CANDIDUS / IF(LE) MACELLVM TSSSELLA STRVENDAM / PANARIOS FABRICANDOS EX MEIR /VS INIQVIS SVPPLEMENTIBVS ADEA / TORIBVS... CVRA VERVNT.

Nel corso della ricostruzione della città longobarda, numerosi templi e costruzioni come anfiteatri, teatri e terme sono stati spogliati o inglobati nei nuovi edifici. Lo storico Giuseppe De Benecitis riporta che il tempio di [[Giove Ammone]] si trovava presso le case attorno la chiesa di [[San Francesco d'Assisi]] (oggi Sant'Antonio di Padova), dove era stato scoperto un pavimento di 417 palmi e largo 36, con raffigurate una testa di montone e una medaglia con lo stesso disegno. Questo particolare della moneta è avvalorato dal fatto che il capitolo di San Pietro, in una disputa con quello di Santa Maria del Vasto, circa l'esistenza nella loro parrocchia, faceva riferimento a un tempio romano dove si venerava Ammone per il simbolo caprino inciso sulla moneta, derivante dalle pratiche religiose egiziane.<br>Altri reperti riaffiorarono all'inizio degli anni '70 presso la chiesa della Madonna delle Grazie, a testimonianza di un edificio termale, le famose [[terme di Vasto]], comprese tra questa piccola chiesa e il monastero di San Francesco. Vennero scoperti anche resti di importanti acquedotti, quello delle Luci e del Murello. Il primo è sotterraneo, in laterizio, e aveva origine a sud della città, non lontano dalla chiesa di Sant'Antonio Abate, e giungeva alla parte bassa dopo un percorso di 4 km, immettendosi nelle cisterne di Santa Chiara, per un totale di 12 cisterne e nove ambienti in laterizio. Il primo giace sotto Piazza Marconi, vico Moschetto e Piazza Santa Chiara, il secondo è sotto l'isolato compreso tra via Cavour, via De Amicis e Piazza Marconi.
[[File:Monumento a Gabriele Rossetti sito in Piazza Rossetti.jpg|thumb|270px|Piazza Rossetti, adattata alla forma ellittica dell'antico anfiteatro]]
L'acquedotto del Murello, in parte sopraelevato e in parte interrato, era anch'esso in laterizio, proveniente dalla regione osta a occidente della Città, entrava all'altezza di via Murello, all'incrocio di Corso Garibaldi, insinuandosi sotto la chiesa di San Giovanni (oggi scomparsa), proseguendo sotto Corso Dante, alimentando la cisterna scoperta sotto via Tacito, uscendone sotto via Laccetti, per giungere a Piazza Caprioli e in via Barbarotta. Fino al [[XVI secolo]] nel piano delle Cisterne vi era un collo con colonnetta d arco, da cui la popolazione era solita attingere acqua.<br>L'attuale Piazza Rossetti è stata realizzata negli anni '20 del Novecento, quando si venne a scoprire l'anfiteatro romano. Presso quest'anfiteatro si trovava la "naumachia", alimentata da canali sotterranei che vi introducevano acqua per farvi galleggiare piccole imbarcazioni per il divertimento del popolo. Nei secoli successivi il crollo dell'impero, un'alluvione fece scomparire l'anfiteatro sotto terra.<br>Altre conserve idriche furono rinvenute nel rione denominato via Lago, dove nel [[1614]] furono ritrovati il muro e le condotte con sezione di direzione verso San Giovanni e San Pietro. L'acquedotto delle Lucci fu usato per centinaia di anni, fino alla costruzione dell'acquedotto nuovo del Sinello nel 1926. Gli storici attribuiscono al successivo abbandono dell'acquedotto anche la causa di frane e smottamenti della città alta, vista l'assenza totale di manutenzione attuale, e la scarsa manutenzione dei secoli, viste le storiche frane "importanti" che hanno interessato il centro.

L'anfiteatro romano di Piazza Rossetti misurava 225 piedi (67 metri circa) di lunghezza per 210 (62 mt) di larghezza; gli edifici situati a nord-est sorgono sull'ellisse, e furono costruiti nel Medioevo insieme al [[Castello Caldoresco]], quando dopo la fine dell'Impero Romano, l'anfiteatro venne usato come cava di materiale edile. A ricordo delle "naumachie" che si allestiva nell'anfiteatro c'è anche via Naumachia, presso la chiesa di San Francesco di Paola, forse in origine la condotta idrica da cui passava l'acqua per riempire l'anfiteatro.

[[File:Tigre marina bucosis, Ostia- tigre marina, Vasto.png|thumb|left|350px|Confronto tra la tigre marina delle terme di Vasto e quella delle terme di [[Ostia antica]]]]
I templi principali di Histonium erano dedciati al dio Sole (Helios), presso la chiesa di Sant'Antonio (oggi Madonna delle Grazie), quello di [[Cerere]], sopra cui venne costruita la scomparsa (1956) chiesa di San Pietro, il tempio di Giove Delicheno sorgeva tra la chiesa di San Pietro e l'attuale Piazza del Popolo, per giunta il tempio aveva origini più remote, quando gli Italici vi veneravano [[Bacco]]. In località Selvotta vi era il tempio di Ercole, la cui lapide è stata rinvenuta a conservata ai Musei del Palazzo d'Avalos. Il palazzo conserva anche il busto di marmo con il basamento del monumento al poeta istoniese Lucio Valerio Pudente, un busto acefalo di donna (identificata con Cerere), diverse statue, lucerne in terracotta, idoli in bronzo votivi.

Oltretutto, prima della decadenza del primo Medioevo, Histonium ebbe diverse personalità politiche e artistiche degne di nota. In politica si ricordano Marco Bebio, Tito Sartorio (prefetto, ammone e fabbro), L. Scanzio (citato come edile), il console Quinto Osidio. Sartorio militò sotto Augusto, nominato Legato Fedele alla decima legione, dopo la guerra contro [[Marco Antonio]] e [[Lepido]]. Presso Histonium le famiglie nobili più influenti erano la gens Valeria di cui il personaggio più noto è Caio Hosidio Geta, e la gens Caponia con Tito e Augusto.<br<Infine il poeta Lucio Valerio Pudente fu nominato curatore della Repubblica di Histonium da [[Antonino Pio]], incoronato con l'alloro nel certame capitolino dedicato a Giove, che si celebrava ogni cinque anni, per unanimità dei giudici.

== Medioevo ==
=== La ricostruzione longobarda di Guasto d'Aymone e Guasto Gisone ===
[[File:Vasto 2009 024 (RaBoe).jpg|thumb|Veduta del rione di Guasto Gisone, con la chiesa di Santa Maria Maggiore e la torre di casa Rossetti]]
Dopo la caduta dell'[[Impero Romano d'Occidente]] nel [[476]] d.C., il municipio d'Histonium perse ogni splendore a causa delle devastazioni naturali e delle incursioni che l'afflissero, e a cui le amministrazioni non seppero porre adeguato rimedio. Venne nel VI secolo inclusa nel [[ducato di Benevento]], nel [[IX secolo]] venne saccheggiata dai longobardi di [[Pipino il Breve]] e data alle fiamme, vista la ribellione del ducato contro il sovrano. La città venne ricostruita e data in possesso al conte Aymone di Dordona, e inclusa nello stato di ''[[Langobardia Minor]]'', con capitale Benevento. Nel 942 il territorio era già noto come "Guasto d'Aymone", dove fu costruita una primitiva fortezza, il Castello del Guasto.<br>Nel [[1047]] l'imperatore [[Enrico III di Francia]] assegnò il feudo del Guasto al possesso della vicina [[abbazia di San Giovanni in Venere]], successivamente vennero costruite delle abitazioni fuori le mura del castello, nel contado di Santa Maria Maggiore, che diventerà il rione di Guasto Gisone, nucleo staccato dal Guasto d'Aymone, dotato però di amministrazione autonoma.

Lo storico vastese Sigismondo Sicola nel [[1688]], presso l'archivio della Zecca, trovò delle notizie relative ai due centri in un documento di [[Carlo I d'Angiò]] il quale, tra le terre assegnate a Bertando Del Balzo, nel 1269, data anche "Guastum Gisonis pro uncia V" (per 5 once). Ciò è confermato anche nel registro di Carlo II, in cui si fornisce una descrizione più dettagliata dei confini tra i due nuclei. Avendo i due Guasto amministrazione separata, è da supporre che avessero anche una chiesa principale. Un prova di tale esistenza si riscontra nelle controversie che distinsero le parrocchie di San Pietro (Guasto d'Aymone) e Santa Maria Maggiore (Guasto Gisone); le popolazioni del Guasto d'Aymone erano definite "vulgo di giù", e dell'altro "vulgo di su". Santa Maria Maggiore accampava privilegi superiori a quelli di San Pietro, perché risultava più prossima alla residenza del Barone, il quale svolgeva anche le funzioni di parrocchiano, e per la sede dell'Arcivescovo di [[Chieti]], che nelle visite pastorali vi prendeva dimora temporanea. In un diploma in pergamena datato 12 novembre 1467, rogato dal notaio Cola di Genno Antonio, si ha notizia della fusione dei due centri, avvenuta il 9 gennaio [[1385]].
[[File:Vasto porta della chiesa di San Pietro.jpg|thumb|left|Portale gotico della chiesa di San Pietro in un'incisione ottocentesca]]
Il contenuto tradotto dal latino riporta: ''Buzio di Alvappario, regio cancelliere, protonotaio e sindaco della terra di Guasto di Aymone, supplicò in nome suo, e della sua comunità, Carlo III di Surazzo, affinché il prossimo Guasto Gisone si fosse incorporato al Guasto d'Aymone, ed unì alla supplica l'offerta di 600 fiorini d'oro. Il re accondiscese alla domanda, e ne spedì diploma per mano di Gentile de Merolinis di [[Sulmona]]. In esso si rammentò prima la fedeltà degli uomini della terra del Guasto di Aymone, e poi le inquietudini, i pesi, ed in contrasti, che avevan sofferti contro i suoi nemici per esaltazione del suo real nome, Dichiarò che il Guasto Gisone, con gli uomini, vassalli, terre colte ed incolte, rimanesse per sempre unito al Guasto d'Aymone, e facesse con esso un sol corpo, e si reputasse delò demanio di questa terra; ma però, con la comunità e gli uomini della terra del Guasto d'Aymone, "tamquem principale membrum, et caput", fossero tenuti in ciascun anno a pagare alla sua curia le generale sovvenzioni, collette ed altri fiscali imposte, che gli uomini del Castello di Guasto Gisone fossero tenuti a soddisfare colla quantità del fiscale servizio, che per detto castello, si corrispondeva. Comandò che agli uomini di Castel Gisone non si negasse di abitare nella terra del Guasto di Aymone, e proibì che, cotal unione si potesse in alcun tempo sciogliere, e revocare. Dié ordini a' giustizieri, che osservassero tal privilegio, e finalmente lo unì col suo suggello''.

=== La configurazione urbanistica di Vasto nel XII-XIV secolo ===
[[File:Vasto parte orientale della città.jpg|thumb|left|230px|Veduta del rione Guasto Gisone in un'illustrazione ottocentesca, con la chiesa di San Pietro e il Palazzo Marchesani. La porzione sul "muro delle Lame" fu inghiottita dalla frana del 1956]]
La configurazione urbanistica di Vasto conserva ancora molto del passato storico, con ancora l'antico cardo e il decumano romano, e le vie con le mura della ricostruzione longobarda. Le costruzioni del [[XIII secolo]] da parti delle famiglie più facoltose si trovano nel quartiere di Guasto Gisone, ossia Santa Maria Maggiore, circondato dalle mura, che presentano l'attuale caratteristica dell'ultimo rinforzo voluto da [[Jacopo Caldora]]. Il caratteristico borgo, singolare anche nella sua conformazione, sorto all'intorno della [[chiesa di Santa Maria Maggiore (Vasto)|chiesa di Santa Maria Maggiore]], costituisce il classico esempio di borgo fortificato con mura, case popolari, palazzo di rappresentanza, torri e chiesa parrocchiale.<br>Presso la chiesa fu eretta dai [[Normanni]] nell'XI secolo una poderosa torre di avvistamento, chiamata "battaglia", e normanna è anche la Porta Catena. Con l'espansione demografica, le abitazioni vennero costruita fuori dal borgo, e rinforzate le mura, fino a colmare il breve spazio divisorio tra Guasto d'Aymone e Guasto Gisone.<br>Per identificare le due parti del centro storico è sufficiente far riferimento all'edificio più massiccio, ossia la chiesa di Santa Maria, per notare come le strade si snodano in cerchi concentrici, attorno alla mole principale del tempio, collegate ad una serie di intrigati vicoli.<br<Invece la parte romana, dove affiorano numerosi reperti archeologici (San Francesco o Sant'Antonio), risulta compresa tra via Roma e via Barbarotta, dentro la cui area si snodano quattro file di isolati rettangolari, che si sviluppano su strade perfettamente ortogonali, con i lati più corti che sono localizzati sugli assi delle strade trasversali: tipico schema del cardo e decumano romano.<br>Ci sono altre due fila di isolati con i lati corti dislocati sugli assi delle strade longitudinali, con delimitazione da via Marchesani fino alla zona di via Adriatica (dove nel 1956 si verificò la frana).
[[File:Vasto 2011-08 by-RaBoe-017.jpg|thumb|230px|Scorcio del campanile di San Giuseppe all'altezza di Piazza del Popolo, il punto di collegamento tra Guasto d'Aymone e Guasto Gisone]]
Nella prima parte si riscontra il tipico esempio dell'urbanistica romana, detta "per scanna", con tecnica costruttiva allungata con lati corti in corrispondenza degli assi trasversali, che costituiscono i cosiddetti "cardini"; ad esempio il Corso Palizzi è il "cardine massimo", e Corso Dante il "decumano massimo", mentre gli arti cardini sono costituiti da Corso Plebiscito e dalla strada Sant'Antonio, o via Adriatica; i decumani sono via Anelli, via San Teodoro, via San Francesco, via Laccetti.<br>Successivamente c'è una seconda traccia di isolati, che ha la caratteristica detta "per strigas", perfettamente conservati, seguendo le antiche linee romane: i decumani sono via Laccetti-via Lago, mentre i cardini sono via San Pietro, via Laccetti, via Pampani, via Marchesani, via Barbarotta.<br>A conferma di tali tesi ci sono scavi archeologici nelle abitazioni contemporanee che hanno riportato alla luce pavimenti musivi, in perfetta linea con quasi tutte le costruzioni nuove. Presso la zona del "Muro delle Lame" sonp state scoperte parte della via Traiano-Frentana, un pavimento musivo, delle fondamenta di un edificio termale. In via Anelli c'è ancora un muro romano di 20 metri di lunghezza; in via Pampani nel 1854 venne estratto un pavimento musivo policromo, lungo via Santa Maria Maggiore sono visibili tracce di antiche fondazioni (che corrispondono alle fondamento dell'anfiteatro romano della Piazza Rossetti); in via Tagliamento ci sono le fondamenta di un muro cementizio, in via Laccetti la chiesetta della [[Santissima Trinità]] poggia sulle fondamenta di una domus romana, i cui resti sono visibili sulla destra del tempio.

Alterne vicende del Guasto d'Aymone, fusosi nel [[1382]] con il castello di Guasto Gisone, determinarono il sorgere di un unico centro, raccolto all'originale fortezza longobarda, ossia l'attuale [[Castello Caldoresco]]. Esso, con i 60 pezzi d'artiglieria, era una delle fortezze più grandi dell'Abruzzo meridionale, e fulminava ogni tentativo di attacco, visto che la costa era assaltata dai predoni [[Ottomani]]. Una porta d'accesso alle mura da Torre Bassano immetteva alla strada che conduce al palazzo di rappresentanza, riedificato dopo il 1566 dai Marchesi d'Avalos. Presso il corso si aprivano le botteghe del commercio (Piazza Diomede - Corso De Parma). Lo storico Marchesani cita nelle sue storie le varie mansioni delle botteghe, ricordano che chi non poteva pagare veniva esposto alla pubblica gogna. Tali botteghe inoltre erano sorvegliate dai gabellieri che risiedevano presso Porta Castello, oggi scomparsa, che si affacciava su Piazza Rossetti.
Le botteghe medievali vennero demolite nel quadro di riassetto del quartiere nel [[1832]], per rendere più solenne e lineare l'accesso viario, durante la visita di [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] (15 settembre 1832). Alla confluenza di via Santa Maria, secondo il Marchesani, era posta la dogana, e presso la Cattedrale una fontana, successivamente traslata in Piazza Barbacani. La zona di via Corsea è molto antica, secondo il Marchesani il toponimo ha accostamento all'etimo arabo ''el kasr'' (il castello), cioè il nucleo longobardo della città. Dall'etimo arabo si giunse al nome attuale, perché dopo la venuta dei [[Normanni]] molti mercanti vennero a Guasto dall'Oriente, e dal nord Italia, come [[veneziani]], [[milanesi]], [[aragonesi]].<br>Successivamente la via Corsea sarà dedicata a Riccio De Parma, uno dei 13 campioni della [[disfida di Barletta]] (1503).

=== I Templari e gli Schiavoni a Vasto ===
[[File:Caballeros Hospitalarios de San Juan de Jerusalén.jpg|thumb|190px|Disegno ritraente l'armatura dei Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni]]
A Vasto si ha notizia della chiesa di [[San Giovanni Battista]] dell'[[Priorato gerosolimitano|Ordine gerosolimitano]] sin dal 1300, benché oggi sia scomparsa. La chiesa apparteneva ai [[Cavalieri Templari]], i quali a Vasto fondarono lo Spedale di San Giovanni dei Cavalieri di Malta, con privilegio concesso da [[Carlo III d'Angiò]] nel 1304. La chiesa si trovava fuori Porta Nuova, vicino la chiesa del Carmine, prospiciente Corso Dante, come confermato da un inventario delle rendite della chiesa, datato 16 maggio 1695. Nel XVII secolo il tempio era ancora dei Templari, ma era gestito dalla Congregazione di San Bonomo, e nel [[1833]] venne acquistata dalla famiglia Pompeis, perché chiusa al culto da anni.<br>I Templari a Vasto erano in possesso anche di altri stabili, come la domus di arruolamento delle truppe per le [[crociate]]. Durante il raduno dell'esercito nel 1194 inviato da [[Arrigo VI]], per imbarcarsi per [[Gerusalemme]], gli armati vennero fatti confluire alla foce del fiume Sinello, poco distante da Punta d'Erce. Il passaggio fu contrassegnato da saccheggi e devastazioni, da Vasto a Termoli, e l'esistenza della "domus" di controllo non riuscì a controllare l'orda dei predatori.<br>Questo incidente è stato ricordato negli atti dell'a distrutta [[abbazia di Santo Stefano in Rivomaris]], poco distante da Vasto. Nel territorio vastese erano "sette" i castelli fondati dai Cavalieri del Santo Sepolcro, posti a difesa dei possedimenti e delle popolazioni: erano costituiti da veri e propri fortini di guardia, per contenere le frequenti scorrerie di barbari per mare e per terra.

Nel [[XV secolo]] circa la città venne colonizzata in alcuni punti da popolazioni baltiche fuggire dal saccheggio di [[Costantinopoli]] del 1453 da parte dei [[Turchi]]. Gli slavi, o "schiavoni", come venivano popolarmente additati, colonizzarono non solo le coste a sud dell'Abruzzo, ma ripopolarono dei villaggi della costiera molisana ([[Portocannone]], [[Ururi]], [[Palata]]), e in Abruzzo si spinsero fino in montagna, come dimostrano gli esempi di [[Dogliola]] e [[Schiavi d'Abruzzo]]. La più antica testimonianza della presenza slava negli Abruzzi è datata 1290, quando si stabilì quali dazi avessero dovuto pagare. Secondo il Marchesani, gli schiavoni a Vasto eressero una chiesa dedicata a San Nicola, menzionata nel 1362, demolita nel 1638 per la costruzione dell'attuale chiesa del Carmine. Nel 1522 a Vsto su 799 famiglie se ne contavano una cinquantina slave, che avevano un proprio sacerdote ortodosso.

=== Il passaggio di Federico II ===
[[File:Vasto il castello.jpg|thumb|260px|Incisione ottocentesca del Castello Caldora]]
Il castello longobardo di Aymone fu fortificato da [[Federico II di Svevia]], anche se poco è rimasto dello stile tipico romanico, riscontrabile nei castelli più a sud della [[Puglia]]. Federico II a Vasto, così come nel resto dell'Abruzzo nel [[1223]] circa, pose fine al reticolati di rapporti dei vari signori dei feudi con il principale sovrano, come avevano voluto i Normanni. Dato che i signori si ribellarono al centralismo amministrativo federiciano, ci furono degli scontri presso [[Celano]] contro i Conti dei Marsi e a Poppleto (L'Aquila). A Vasto non ci furono particolari resistenze, anche se il vecchio governo fu dichiarato decaduto, la città venne inclusa nel neocostituito ''[[Giustizierato d'Abruzzo]]'', con governatore nel 1240 B. Pissone, che succedette ad Ettore Montefuscolo, dando il via a varie opere di costruzione, aumentando la produttività e il commercio nella regione.<br>Probabilmente il vecchio castello del Guasto, come detto, venne restaurato secondo le convenzioni sveve, ma oggi con le ristrutturazioni caldoriane ed aragonesi è possibile leggere solo le quattro bastioni a torri lanceolate (una è coperta dal Palazzo Palmieri). Nel 1269 fu posseduto dai Fasanella, poi Scillata, i De Solliaco, i Cantelmi. Tommaso Fassanella fu il primo feudatario cadetto di [[Carlo I d'Angiò]] di Napoli.
Nel [[1345]] passò alla fiorente famiglia [[Caldora]], a Raimondo, barone di [[Castel del Giudice]], che lo fortificò, rendendolo una vera e propria fortezza.

A cominciare dall'inizio del Trecento, in Abruzzo divenne florido il commercio delle "mortelle" (il [[mirto]]), perché ricche di tannino, indispensabili per le concerie. Dai porti di Vasto e Aterno (Pescara), partivano ingenti quantitativi per il centro nord Italia. La raccolta di queste erbe divenne competenza dell'oratorio di San Filippo, che allora reggeva l'[[abbazia di San Giovanni in Venere]]. Il re di Napoli Ladislao di Durazzo alla fine del Trecento, in considerazione dell'aumento sempre più cospicuo dei traffici marini vastesi, autorizzò l'Università di Vasto ad imporre il dazio sull'esportazione della merce, che avvantaggiò l'economia locale.

=== L'ascesa dei Caldora e il periodo aragonese ===
[[File:Jacopo Caldora.jpg|thumb|Giacomo Caldora, signore di Vasto nel XV secolo]]
Con l'ascesa al potere di Roberto Caldora, nel castello si consumarono lotte intestine di potere, dopo la morte del marito della regina [[Giovanna I di Napoli]], Andrea d'Ungheria. Maria moriva nell'anno 1366, lasciano la figlia Margherita, sicché i feudi di Vasto e dintorni tornarono nel dominio regio. Nel periodo in cui Vatso fu del demanio, si procedette alla riparazione delle mura, crollate per alluvioni nel 1391

[[File:Piri Reis - Map of the Towns Vasto and Termoli on the Italian Coast - Walters W658197A - Full Page.jpg|thumb|left|Cartina di [[Piri Reìs]] ritraente Vasto e Termoli]]
Nel [[1422]], all'epoca del regno di Giovanna II, il capitano di ventura [[Jacopo Caldora]],divenne signore del Vasto. Già sotto il precedente regno di Ladisalo di Durazzo, Jacopo era considerato il più potente feudatario della monarchia, con un piccolo esercito che comandava personalmente, e lo metteva a disposizione del miglior offerente. Nell'anno successivo si distinse contro [[Braccio da Montone]] nella [[guerra dell'Aquila]], accorso in aiuto di Alfonso d'Aragona. Jacopo pertanto venne lasciato a guardia del Regno di Napoli sotto il protettorato degli Argona, insieme a Orso Orsini. Riottenne la signoria del Vasto, successivamente strappatagli dagli [[Sforza]], e sottoposta al governo di Giovanna II, insieme alle terre conquistate da Braccio: [[Monteodorisio]], [[Torino di Sangro]], [[Atessa]], [[Lanciano]], [[Miglianico]], [[Francavilla al Mare]], [[Bucchianico]], [[Ortona]].
Jacopo Caldora stipulò quindi un accordo con Giovanna e Luigi d'Angiò per restituire Napoli, di proprietà di Alfonso V, a patto che gli fosse concessa la carica di Gran Contestabile del Regno (carica già assunta dallo Sforza, morto però annegato nelle paludi del Pescara), nonché il bastone di Capitano Generale.<br>Napoli dunque passò alla regina, meno Castelnuovo, dove si erano rifugiati gli aragonesi, e Caldora nel 1424 venne inviato contro Braccio nell'assedio di [[L'Aquila]], per ricondurla all'obbedienza di Alfonso. Montone venne ucciso in combattimento dallo stesso Caldora, il quale venne ampiamente lodato e ricompensato.

Nel [[1427]] iniziò l'ampliamento del castello di Vasto per porvi la sua residenza invernale; chiamò uno dei migliori architetti del tempo, ossia Taccola di Siena, e adottò un nuovo tipo di costruzione militare, ossia la cinta bastionata, ancora oggi presente, a rappresentare l'originalità del maniero, con il fossato esterno. Nel 1428 Caldora venne inviato a sottomettere [[Bologna]] sotto lo [[Stato della Chiesa]], venendo assoldato da [[papa Eugenio IV]] in guerra contro i Colonna. Dopo la morte di Jacopo, nel 1429 il figlio Antonio prese il potere, schierandosi a favore del partito angioino nel 1442, contro Alfonso d'Aragona<ref></ref>Antonio venne confermato nei possedimenti da re Renato, che lo creò anche "viceré", dopo l'imprigionamento per il tradimento contro Alfonso, venne liberato dai suoi soldati, che però in seguito dubitarono della sua autorità, che non godeva più della stima di un tempo. Marino da Norcia, signore di [[Taranto]], ne approfittò per impossessarsi di alcune sue terre, mentre ad Antonio non restava fedele che Cecco Valignano da [[Chieti]], il castello di [[Lanciano]] amministrato da Tuccio Ricci e i signori di [[Bitonto]]. Tuttavia Alfonso decise di bloccare Antonio, prendendo il castello di [[Carpinone]], poi quello di [[Trivento]], che benché sconfitto, fu liquidato con alcuni possedimenti come Monteodorisio, Erce, Anversa di Valva (oggi [[Anversa degli Abruzzi]]), Medea d'Eboli presso Trivento e altre 17 terre. Vasto venne sottratta ai Caldora da Alfonso, ritornando nel demanio regio fino al 1442, quando andò a Romano del Poggio, che ne fu giustiziere.

== Il Cinquecento e il Marchesato d'Avalos ==
=== Il Marchesato del Vasto ===

[[File:Vasto Palazzo d'Avalos settembre 2017.jpg|thumb|260px|left|Il Palazzo d'Avalos]]
Nel [[1496]] [[Federico III d'Aragona]] creò "Marchese del Vasto" Innico II d'Avalos; per quasi tre secoli la famiglia possedette la Signoria del Vasto. Nel 1503 presso [[Barletta]] si tenne la famosa disfida di [[Ettore Fieramosca]] contro i francesi, e tra i 13 cavalieri che difesero l'onore italiano ci fu Riccio de Parma, nato a Vasto, a cui oggi è intitolato il corso presso la Cattedrale.

Nel Cinquecento la città fiorì, complice la corrente culturale del [[rinascimento]] e la politica della famiglia [[D'Avalos]]. Essi provenivano da [[Castiglia]], trasferiti a [[Napoli]] al seguito di re Alfonso I con Inigo I (morto nel 1484<ref></ref>) e i suoi tre figli Alfonso, Rodrigo e Inigo II, sepolti presso la cappella di Sant'Anna dei Lombardi a Napoli. I d'Avalos ebbero numerosi feudi e titoli, tra i quali Vasto fu il più importante, furono aggregati al Patriziato Napoletano del Seggio di Nido, e dopo l'abolizione dei sedili nel 1800, vennero iscritti nel Libro d'Oro di Napoli. Ebbero anche il privilegio di battere moneta e nominare conti.<br>I membri più influenti furono Inigo II, divenendo marchese di Pescara, [[Fernando Francesco d'Avalos]] che sposò [[Vittoria Colonna]] nel 1509, comprando anche la città di Lanciano dove costruì il palazzo, Ferrante d'Avalos, valoroso combattente, Francesco Ferdinando e Andrea d'Avalos.
[[File:Francesco Ferrante d'Avalos.JPG|thumb|190px|Francesco Ferrante d'Avalos]]
Il casato d'Avalos promosse nel XVI secolo l'attività culturale musicale degli artisti vastesi, garantendo l'affermazione di essi fino alla Corte delle grandi signorie. Il più noto degli artisti [[madrigalisti]] fu Lupacchiotto dal Vasto, soprannome di Bernardino Carnefresca, sacerdote di Santa Maria Maggiore nel 1543, nominato Maestro di Cappella nella [[Basilica di San Giovanni in Laterano]] a [[Roma]]. Le sue opere vennero stampate già nel 1547 a [[Venezia]] da Antonio Cardano. Altro valente madrigalista fu Gian Battista Petrilli, vissuto tra la fine del '500 e l'inizio del '600. La sua opera venne stampata a Napoli nel 1608 da Gian Giacomo Carlini e Costantino Vitali. Suo maestro fu Dattilo Roccia da [[Venafro]], il quale l'aiuto nel musicare il poema ariostesco ''[[Orlando furioso]]'', nel cui canto XXXII si celebrano le glorie dei d'Avalos.

Che il casato proteggesse le arti e le lettere nella città, lo si rileva anche attraverso un altro madrigalista, Orazio Crisci, vissuto nella metà del XVI secolo. Nel 1581 dedicò una sua opera ad Innigo d'Avalos, Cardinale d'Aragona, e divenne organista del [[Duomo di Mantova]], raccomandato alla Corte dei [[Gonzaga]], sotto il favore di Isabella, moglie di Ferrante Francesco d'Avalos, Marchese del Vasto.

=== L'invasione turca del 1566 ===
[[File:PiyalePasha IstanbulNavalMuseum.JPG|thumb|180px|Busto del condottiero ottomano Pyale Pasha]]
La città di Vasto per secoli, a cominciare dalle invasioni barbariche dopo il crollo di Roma (V secolo), subì attacchi continui dall'Adriatico. Le popolazioni che compivano le scorrerie, brevi e distruttive per razziare e distruggere, erano principalmente gli [[Ottomani]]. I vari signori cercarono di frenare gli attacchi, istituendo dei corpi di guardia, fortificando le mura, i castelli e le torri di controllo presso i villaggi nella marina di Punta d'Erce e Punta Penna, ma l'imprevedibilità fulminea pianificata degli attacchi riusciva sempre a prendere alla sprovvista i difensori.

Nel luglio [[1566]] l'ammiraglio turco [[Piyale Paşa]] (o Pasha) assediò le coste abruzzesi, partendo da [[Giulianova]], scendendo alla fortezza di [[Pescara]], e saccheggiando ogni villaggio o centro che lambiva la costa, penetrando in certi casi anche nell'entroterra, come a [[Miglianico]] e [[Tollo]]. Dopo l'incendio del 19 luglio a Ortona, il 1 agosto 1566 cento galee turche, al comando di Pasha, si presentarono al largo delle coste di Vasto, e sbarcarono a Punta Penna, senza trovare resistenza. Allora saccheggiarono i villaggi attorno, riducendoli in macerie. Gli abitanti si rifugiarono dentro le mura di Vasto, preparandosi a respingere gli assalitori. Gli abitanti si asserragliarono tra le case nelle viuzze del rione Santa Maria Maggiore, lanciando pietre e olio bollente.<ref></ref>I pirati turchi, molto più numerosi delle guarnigioni, saccheggiarono e bruciarono la città, incendiarono il convento di Sant'Agostino (oggi sede della Cattedrale), incendiarono il Palazzo Marchesale, la chiesa di Santa Maria della Valle (contrada Andrella) presso l'ex convento di Santa Lucia. Il castello Caldora non fu danneggiato perché gli uomini seppero ricacciare i pirati sparando con le 60 bocche di cannone. Dopo aver bruciato Vasto, i pirati si spostarono lungo il Sinello in contrada San Lorenzo, ma senza uccidere gli abitanti perché già datisi alla fuga nel bosco. Gli ottomani si spinsero allora verso [[Monteodorisio]], ma vennero ugualmente respinti dalle cannonate sparate dal castello, decidendo così di concludere l'attacco, salpando nuovamente da Punta Penna.<br>La successiva meta d'assedio fu il monastero di San Vito, nei pressi di [[San Salvo]], e la città stessa, e poi [[Termoli]].
[[File:Vasto 2009 072 (RaBoe).jpg|thumb|left|190px|Torre di Bassano in Piazza Rossetti]]
Benché nel [[1563]] fossero state costruite delle torri costiere di difesa, dal viceré Parafran de Ribeira, i turchi riuscirono ad eludere le guarnigioni, ragion per cui con la salita al trono spagnolo di [[Carlo V]], anche il [[Regno di Napoli]] presso la costa fu provvisto di un nuovo moderno sistema difensivo di torri di guardia, iniziato nel [[1568]]. Presso Punta Penna oggi si conserva ancora la torre omonima, sede della Capitaneria di Porto, mentre altre torri presso [[Casalbordino]] e [[San Salvo]] sono andate distrutte col tempo. Le nuove torri di guardia all'interno delle mura di Vasto furono quella di Santo Spirito su Piazza Verdi, la Torre Diomede del Moro che si affaccia su Corso Garibaldi e Torre di Bassano in Piazza Rossetti, che costituiva la cittadella.

Nello stesso anno della scorreria turca, nella [[chiesa di Santa Maria Maggiore (Vasto)|chiesa di Santa Maria Maggiore]], fu donata la preziosa reliquia della "sacra spina" della corona di [[Gesù]], da parte di [[Papa Pio IV]] a don Ferdinando d'Avalos, ambasciatore al [[Concilio di Trento]] per conto di [[Filippo II di Spagna]]. Secondo lo storico Marchesani la venerazione della spina comporta una fioritura che dovrebbe verificarsi, nella leggenda, il [[venerdì santo]], quando corrisponde con il giorno dell'Annunciazione. Segni presunti di miracolosità della spina proverrebbero dallo scampo all'incendio della chiesa, verificatosi nel 1645.

== Il Seicento e il Settecento ==
[[File:Vasto porta nuova.jpg|thumb|190px|Porta Nuova]]
Il 15 settembre 1660 morì nel convento di Sant'Onofrio frate Pacifico da Castiglione, autore secondo alcuni di miracoli e prodigi. Nel Seicento a Vasto si respirò l'affermazione, sempre più dominante, del Marchese, insieme a quella della Chiesa durante il periodo della [[Controriforma]]. Venne istituita la Confraternita del Carmine per l'educazione dei giovani, anche se la maggior parte della popolazione viveva in condizioni pessime. Come riportato dagli storici, i principali problemi della città erano gli smottamenti, la rovina degli edifici, frequenti carestie e pestilenze.<br>Proprio l'ultima pestilenza del [[1657]] infierì in modo grave su tutta l'Italia meridionale, specialmente a [[Napoli]], [[Foggia]], [[San Severo]] e [Lucera]], provocando 400 mila morti. Le notizie dilagarono a nord, fino a Vasto, dove vennero organizzate delle messe speciali nelle chiese, per stornare il flagello. Secondo la leggenda il 22 settembre 1657, all'alba apparve, attorniato dalla luce, l'[[Arcangelo Michele]] davanti all'arcivescovo Monsignor Giovanni Puccinelli, annunciando che tutte le città che possedevano una pietra proveniente dalla grotta del Santuario di [[Monte Sant'Angelo]] del [[Gargano]] sarebbero state risparmiate. Il 19 marzo il clero di Santa Maria Maggiore, accompagnato dalla Congrega del Gonfalone e dal popolo, posò la pietra della chiesa, e la peste non mieté numerose vittime come in Puglia. Da quel momento iniziò il culto vastese per San Michele, divenuto ufficiale dopo il prodigio durante l'epidemia di tifo del 1827.

Nel [[XVII secolo]] la famiglia d'Avalos acquisì ulteriore potere, e l'elemento oggi che più rappresenta questo periodo è il Palazzo della Penna, fatto erigere fuori la città da Innico III, sposatosi nel [[1598]] con la cugina Isabella d'Avalos. Il palazzo è citato anche dallo storico Nicola Alfonso Viti, quando venne fatto erigere nella campagna presso il porto di Punta Penna, demolendo delle vecchie fabbricazioni abbandonate. La costruzione del palazzo, voluto come residenza estiva, fu completato nel [[1615]]. Successivamente lavori di ampliamento furono eseguiti nel 1621, quando l'Università di Vasto dette al marchese 3 migliaia di massi provenienti dal Porto Meta, usate dallo scalpellino Giovanni Di Benedetto per l'opera. Altri lavori furoono commissionato nel [[1699]] all'ingegnere veneto Daniele Galante. L'insieme è quello di una casa fortificata simile al Castello Caldoresco, a pianta quadrata con quattro bastioni a baluardo presso gli spigoli, quattro cortili spaziosi, ampie sale, locali di servizio. Fu abitato fino al Settecento dal fondatore Innino III, i figli Ferrante e Diego, e poi dal nipote Cesare Michelangelo d'Avalos.

=== La Confraternita del Carmine ===
[[File:Vasto chiesa del Carmine.jpg|thumb|Incisione ottocentesca della Chiesa del Carmine a Vasto]]
Demolita la vecchia chiesa ortodossa di San Nicola, il 6 novembre [[1690]] con solenni celebrazioni alla presenza del marchese Diego d'Avalos e della moglie Francesca Carafa, i Chierigi Regolari della Madre di Dio prendevano possesso dell'appena edificata chiesa del Carmine.<br>In esecuzione del testamento di Maria Orsini Gaetani, duchessa di San Marco e Gravina, in Italia si dovevano fondare due collegi di Chierici Regolari per l'educazione e l'istruzione dei ragazzi. Nel [[1647]] venne aperto il primo di Santa Maria in Portico a Napoli, mentre il secondo don Diego d'Avalos, si adoperò affinché fosse costruito nella città vastese. Infatti, nonostante la presenza di vari conventi in città, non ne esisteva uno che accogliesse giovani da istruire, così nel luglio 1688 la Confraternita del Carmine deliberò di ricevere nella sua chiesa i Chierici Regolari della Madre di Dio.<br>Dopo le prediche quaresimali svolte a [[L'Aquila]] da Padre Alessandro Poggi, Prefetto dei Giovani, si portò a Vasto, invitato da don Diego, il Padre Poggi, il più favorito nell'amministrare la costruzione della Casa, stimando una spesa di 300 ducati. Il denaro venne prelevato dalle casse del Palazzo d'Avalos, anche se però risultarono insufficienti, e altre somme vennero aggiunte dal Padre Generale Lorenzo Perensi e dai padri del convento maggiore a Napoli, altri 200 ducati annui prelevati dal legato della Duchessa Orsini. Da parte sua, la Confraternita del Carmine, con atto del 7 aprile 1689, cedette la chiesa, la sagrestia e alcune stanze ed una rendita di 50 ducati annui.

Come detto, la vecchia chiesa di San Nicola degli Schiavoni venne demolita nel [[1638]] e ne venne eretta una nuova, dedicata a Maria SS. del Carmine, e nel [[XVII secolo]] venne notevolmente ampliata, venendo riconsacrata il 6 novembre 1690, come annotato da Tommaso Palma, segretario della famiglia d'Avalos. Succeduto dal 1693 al fratello Vincenzo, il Padre Alessandro ricoprì la carica di superiore per i successivi 6 anni. Dopo la morte di don Diego, il padre dovette occuparsi del restauro della chiesa, trasferendo la cappella nella chiesa del Santissimo Sacramento. La chiesa fu riaperta nel 1697 con solenne celebrazione da parte dell'arcivescovo di Chieti.

=== Fatti di cronaca di Diego Maciano (1700-29) ===
Nel [[XVIII secolo]] le storie di cronaca della città furono raccontate dal locale Diego Maciano, morto il 23 giugno 1746. Le cronache riguardano le liti di preminenza tra le parrocchie di Santa Maria e San Pietro, alcune importanti informazioni su chiese e palazzi storici, notizie di terremoti, scorribande di pirati, frane e sciagure. Una parte dell'opera, molto consistente riguarda la figura di don Cesare Michelangelo d'Avalos, compresa la cronaca delle storiche giornate del conferimento del collare del [[Toson d'Oro]] al Principe Fabrizio Colonna nel 1723.<br>In questi anni visse a Vasto anche Guglielmo Amblingh, nato nel 1679, andato a Vasto nel 1707 alla corte di don Cesare Michelangelo, divenendo suo segretario particolare, acquisendo meriti, e ricompensato nel 1723 con il grado di comandante delle truppe della Casa. Nel 1728 Guglielmo si sposò con la contessa Teodora De Cicco, figlia di Francesco di Geromina De Sanctis, e rsultava nel catasto del 1742 proprietario di varie abitazioni poste presso la passeggiata del centro storico, che oggi prende il suo nome. Alla sua morte nel [[1760]] venne sepolto nella cripta della chiesa di Santa Maria, la chiesa prediletta della Casa d'Avalos, insieme alle tombe di altri marchesi della città.

=== L'investitura della "Città del Vasto" da Carlo III di Spagna (1710) ===
[[File:Gabriele Smargiassi, Veduta di Vasto, 1831.jpg|thumb|300px|Veduta di Vasto in un dipinto di Gabriele Smargiassi]]
Durante la [[Guerra di successione]] in Spagna, Vasto, infeudato al Marchese don Cesare Michelangelo, che aveva parteggiato per la Casa d'Austria, in riconoscenza della fedeltà dimostrata per le vittoriose armi austriache ebbe, con diploma del 29 marzo [[1710]], dall'imperatore [[Carlo VI d'Asburgo]] (Carlo III di Spagna), il titolo di "Città" e sede vescovile. Nel diploma, conservato nell'archivio comunale, è riportato: ''E tenendo presente che il feudo nobilissimo del Vasto, antichissimo, è sotto il dominio dei predetti Marchesi di Pescara e del Vasto, non sono insigniti del titolo di Marchesi, ma altresì, per due volte della dignità di Grandi di Spagna, tale feudo diciamo, cospicuo per il costante ossequio verso i nostri, per le ricchezze degli abitanti, per l'ampiezza del suo territorio, per gli edifici, i templi, per le mura fortificate, ricco di Baroni e di uomini addottorati nelle diverse discipline, illustre per palagi e dovizie dei cittadini, per cenobi e per abbondanza di nobili famiglie, sempre aperto ai nostri eserciti, famoso, altresì, per le sue antichità, vanto che sino a questi tempi ha conservato il privilegio derivantegli dalla sia vetustità, chiamandosi ancora oggi Vasto Municipio del Romano Impero, giustamente, per le sopradette considerazioni, la Terra ed il Castello del Vasto, per tanti motivi illustri, abbiamo stabilito di elevare al titolo di Città, annullando il nome di Castello. Pertanto, a tenore della presente di certa nostra scienza e motu proprio, spontaneamente e per deliberata volontà del nostro animo, il detto Feudo del Vasto, lo dichiariamo Città e graziosamente gli conferiamo gli onori e la dignità di Città e tutte le altre prerogative, diritti e denominazioni, gli concediamo, mentre aboliamo completamente il nome di Castello, cosicché nessuno per l'avvenire osi chiamarlo Castello, e innalzato tale feudo a dignità di città, si valga del nome più importante di città e venga iscritto al novero delle città del Segno e sia meritevole della dignità Episcopale: concedendo, inoltre al luogo sopraddetto tutti gli altri diritti, prerogative e privilegi che competono alle altre città, vogliamo e decretiamo che ad esso siano riconosciuti tali diritti comunque possono e debbono spettare; ed inoltre questi privilegi s'intendano estesi anche al suo territorio, di modo che tutti i castelli che saranno edificati rientro i suoi confini, siano considerati come parti della suddetta città, compresi nel territorio della medesima...".

=== La cerimonia del Toson d'Oro del 1723 ===
Il [[Toson d'Oro]], ordine cavalleresco dinastico (o di collana), venne fondato nel [[1429]] da [[Filippo III di Borgogna]] in occasione delle sue nozze con Isabella del Portogallo. Nel [[1431]] il Duca ne stabilì l'ordinamento ed il numero dei Cavalieri che vi potevano accedere, solo 31, quale ricompensa della fedeltà dei vassalli alla corte di [[Borgogna]]. Per il suo carattere fastoso, l'Ordine del "Toson d'Oro" divenne uno dei più importanti d'Europa. I cavalieri ne venivano investiti, indossavano il mantello e tocco rosso e l'insegna che consisteva in un collare d'oro da cui pendeva il "vello" in oro smaltato, ricordo della ricompensa dei mitici [[Argonauti]]. Dalla corte di Borgogna, dopo l'abdicazione di Carlo V, al conferimento del Toson d'oro successero gli Asburgo di Spagna fino all'avvento al trono di [[Filippo V di Borbone]] (1701), che determinò lo sdoppiamento dell'ordine, che venne distribuito sia dai re di Spagna che dagli Asburgo della Casa d'Austria.

La consegna del Toson d'Oro da parte di don Cesare Michelangelo d'Avalos a Fabrizio Colonna, avvenne quale riconoscimento dei servizi che la famiglia romana rese alla corte di Napoli. Fabrizio Colonna era Gran Contestabile del Regno, nipote del cardinale Carlo. La cerimonia avvenne con grande sfarzo alle ore 12 della domenica 24 ottobre [[1723]], e la festa durò fino al 2 novembre.
[[File:L'ingresso di Palazzo d'Avalos.jpg|thumb|260px|Facciata del Palazzo d'Avlos, dove ancora oggi si rievoca la cerimonia di consegna del Toson d'Oro]]
I preparativi della sfarzosa cerimonia della consegna al Principe Colonna, richiamarono a Vasto una gran quantità di nobili. Già con dispaccio del 23 novembre, il Marchese Cesare Michelangelo era stato informato che il re [[Carlo VI d'Asburgo]] lo aveva designato a delegato per conferire la collana del Toson d'Oro al principe. Durante il mese precedente cominciarono a giungere a Vasto i primi notabili, il 14 ottobre arrivò il vescovo della [[diocesi di Trivento]] Maricodia, il 19 ottobre venne Grazio Guidotti, Capitano della Grascia, poi il Cavallerizzo Maggiore del principe Colonna Filippo Maffei, per comunicare che il nobile romano era giunto al feudo di [[Atessa]], insieme alla moglie Caterina Salviati. Il 20 ottobre arrivò il Marchese Castiglioni, segretario del Re, mentre il Marchese del Vasto inviò il segretario don felice da Cune ad Atessa per comunicare al Connestabile i preparativi. Il 22 ottobre giunsero il Barone Lassano, il Marchese di Villa Major figlio del preside di Chieti, ed il vescovo di [[Isernia]] Leone. Il 23 ottobre Guglielmo Amblingh, Barone di Sant'Ancino, con seguito di 370 uomini e truppa, incontrò nella tenuta di San Bernardino ([[Scerni]]) il corteo del Principe Colonna. Lo storico Romanelli annota che il Marchese d'Avalos organizzò una battuta di caccia mattutina per allietare la corte, egli era accompagnato dalla moglie Ippolita, viaggiando su una "stoffiglia a specchi" con traino a sei, scortata da quattro paggi a cavallo. Seguivano i Baroni d'Abruzzo e di Puglia Capitanata, mentre su una carrozza viaggiavano il Conte di Villamuriel e il Marchese di Villa Major, cavalieri di Camerata del Marchese.
[[File:Golden Fleece Collar (Knight).svg|thumb|left|Collare dell'Ordine del Toson d'Oro]]
Il seguito del Connestabile Colonna era costituito dai cavalieri di Camera Marchese Maccheroni e Barone Mantica, dal Maestro di Camera Cavaliere della Chiaia, dal Maestro di Camera della Principessa Cavaliere Pieri, dal Cavallerizzo del Cardinale Colonna, Conte Scotti, dal Cavallerizzo don Filippo Maffei, dal Gentiluomo don Francesco Montani di Spoleto, da due damigelle e due paggi della Principessa, due avvocati, il medico e il cameriere personale, due corni da caccia, otto staffieri, e quattro famigli con tre calessi, due lettighe e dodici muli per il trasporto dei bagagli.<br>In località San Bernardino il Principe e il Marchese si incontrarono, abbracciandosi, con saluto alle moglie e i principi. In una tenda, dove venne ricomposta la scena della [[battaglia di Pavia]] con i trofei dell'imperatore Francesco I, vennero serviti dei frutti, confetti e cioccolata. Nel viaggio di ritorno verso Vasto, a Porta Castello, dove c'erano i guiderdoni dell'Imperatore, del Connestabile e del Marchese, vennero conservate al Principe Colonna, dal Mastrogiurato Giulio Anelli Barone di Brittoli e Carpineto, le chiavi della Città del Vasto, mentre il sindaco Dionisio Piccirilli pronunciava l'orazione di saluto. Il corteo si spostò lungo via Corsea fino al Palazzo Marchesale dei d'Avalos, mentre esplodevano colpi di archibugi e dal castello partivano cannonate a salve. La cena finale venne servita dentro il palazzo, in attesa della cerimonia del giorno successivo.

Grande fermento di folla c'era la mattina del 24 ottobre, il Principe Colonna venne prelevato dal Marchese Castiglioni, conducendolo nell'anticamera delle Udienze. Il Marchese d'Avalos qui stava seduto in trono in abito da cerimonia, recando le insegne imperiali. Fece cenno di introdurre il Principe, allora il Segretario Regio Giovan Battista Cantiglioni lesse in latino il diploma del Re di Spagna con il quale si incaricava il Marchese d'Avalos di conferire al Gran Connestabile del Regno l'Ordine del Toson d'Oro.<ref></ref>
Il Principe Colonna, dopo aver dichiarato obbedienza alle regole e allo Statuto dell'Ordine, prestò giuramento, Fece ingresso il Conte di Villamuriel che prese la spada d'onore e la porse al Marchese per ordinare Cavaliere l'insignito. Il Principe Colonna in ginocchio giurò sul proprio cuore e ricevette la collana d'oro dal Marchese, ed entrambi si abbracciarono. Scortati dal segretario regio, raggiunsero le dame, i cavalieri e la nobiltà in sosta nelle sale, poi nella sala di San Pietro. All'ingresso venne intonato il ''Te Deum'' dal Capitolo di Santa Maria Maggiore presieduto dal vescovo di Trivento, mentre fuori il palazzo rintoccavano le campane delle chiese ed esplodevano i colpi di cannone.

=== La Repubblica Vastese (1799) ===

[[File:Vasto fontana del Largo Pudente.jpg|thumb|Fontana in Largo Pudente, oggi in Piazza Barbacani]]
Anche Vasto nel [[1799]] fu coinvolta nei moti che portarono alla dichiarazione della "[[Repubblica Partenopea]]" a [[Napoli]]. La città venne influenzata dalle idee rivoluzionarie d'oltralpe, che ebbero presa contro i risentimenti verso i [[Borbone]], i quali volevano abbattere il vecchio ordine politico e sociale per crearne un nuovo, moderno, ispirato agli ideali di libertà dell'[[illuminismo]]. Nel 1798 il Consiglio Napoletano decretò lo stato di Guerra, armando 15mila soldati al comando del generale Micheroux, appostati sul fiume [[Tronto]], a [[L'Aquila]] ed a [[Tagliacozzo]]. L'esercito napoletano sbaragliò subito i repubblicani, e con a capo lo stesso Ferdinando I, entrò a [[Roma]] dove i francesi, guidati dal generale Berthier, avevano proclamato la "[[Repubblica Romana]]", costringendo [[Papa Pio VII]] a recarsi prigioniero in [[Francia]]. Ma il 29 novembre il Generale [[Jean Étienne Championnet]] sconfisse i napoletani, ricacciandoli oltre i confini del Regno, e lasciano il Generale Duhesme a difesa dell'Abruzzo.<br>Il 20 dicembre Duhesme, conquistata [[Civitella del Tronto]], si diresse versoi la fortezza di [[Pescara]] che ,l comandata dal Colonnello Pricard, fu costretta a capitolare. Con il bando dell'8 dicembre intanto re Ferdinando si rifugiava con la famiglia e la corte in [[Sicilia]], proclamando la mobilitazione generale, ed evitando così di essere prigioniero di Championnet, il quale nel frattempo entrava a Napoli, proclamando la Repubblica Partenopea.

Anche a Vasto venne dichiarata la mobilitazione generale, senza esclusione di età o ceto, e nemmeno i religiosi sfuggirono all'editto. Il Barone Pasquale Genova, Levino Mayo, Antonio Tiberi, Arcangelo e Giuseppantonio De Pompeis, i più facoltosi di Vasto, furono costretti ad assoldare un'armata che venne affidata al Governatore Andrea Gaiulli, con l'obiettivo di raggiungere Chieti, già però presa dalle truppe del Generale Mounier, il quale inviò ordine ai vastesi di dichiarare decaduto il governo dei Marchesi d'Avalos e di proclamare la repubblica.<br>La notizia alimentò nel popolo vastese l'insorgere insaziabile di fame violenta. Vennero assaltate delle barche al porto, provenienti da Pescara, cariche di beni del re di Napoli, che per caso erano approdate a Vasto. I capi rivoltosi erano i prigionieri Paolo Codagnone e Filippo Tambelli, dove avevano espiato al carcere di Napoli due anni di prigione per reati contro lo Stato. Costoro inviarono a Lanciano Francescantonio Ortensie. Floriano Puetrocola ed Epimenio Sacchetti, quali deputati del popolo di Vasto, con l'incarico di conferire con il Generale Mounier.<br>Il 5 gennaio [[1799]] vennero dichiarati decaduti tutti gli incarichi e i privilegi che furono sostituiti con altri, e con l'obbligo di fregiarsi della coccarda tricolore. Vennero ammassati vettovagliamenti per le truppe francesi che dovevano transitare per Vasto, fissandone il quartier generale al Palazzo Marchesale, dove allora stava Tommaso d'Avalos.
[[File:Général Jean Étienne Vachier detto Championnet (3).jpg|thumb|Il generale [[Jean Étienne Championnet]], conquistatore del [[Regno di Napoli]]]]

Il 21 dicembre 1798 don Tommaso era già fuggito da Vasto, seguendo il re Ferdinando a [[Palermo]]. Intanto a Vasto veniva decretato il disarmo generale, abbattuti gli stemmi borbonici, ed innalzato l'Albero della Libertà, simbolo della Repubblica. A causa dei litigi tra i municipalisti e l'agente del Marchese d'Avalos Vincenzo Mayo, Codagnone e Tambelli che si erano recati a Pescara per conferire con il generale francesi, approdarono a [[Ortona]], dove furono trucidati dal popolo. La notizia dell'uccisione arrivò a Vasto da un servo di Codagnone, e la mattina del 2 febbraio i vastesi cominciarono ad ammutinarsi. Disertori, ergastolani, marinai e facchini guidarono il popolo alla rivolta, e per oltre 25 giorni si macchiarono dei più atroci delitti. Vennero incendiati gli archivi, assaltato il Palazzo Marchesale, le chiese, i chiostri, devastate le tombe, violentate donne alla presenza dei familiari. Furono uccisi Tommaso Lemme, Epimenio Sacchetti, Alfonso Bacchetta ed eletti alla carica di generali il Barone Pasquale Genova, Francesco Maria Marchesani, Leopoldo Cieri, Venceslao Mayo. Portati in trionfo in città, furono costretti ad assistere al ''Te Deum'' nella chiesa di [[Sant'Agostino]].<br>Fra gli episodi di violenza, l'arresto di Giovanni Barbarotta, studente di giurisprudenza a Napoli, al grido di "Morte al Giacobino!"; condotto in piazza per essere fucilato, un popolano perorò la causa riuscendo a farlo liberare e proclamarlo capo del governo rivoluzionario di Vasto. Intanto il 6 gennaio 1799 i municipalisti Pietrocola e Ortensio che erano fuggiti da Vasto, vennero catturati presso [[Casalbordino]] e portati in città per essere passati per le armi. L'esecuzione avvenne a Porta Castello, furono denudati ed a uno di essi tagliata la testa; i cadaveri fino al 2 marzo rimasero insepolti, alla mercé del popolo, fino all'ordine del Generale Luigi Gouthard.<br>Nel frattempo nel centro della città regnava l'anarchia popolare, le botteghe vennero assalite, e anche nei paesi accanto scoppiò l'anarchia della plebe, a [[San Buono]], [[Gissi]], [[Dogliola]], [[Lentella]], [[Fresagrandinaria]]. Quando l'ordine fu ristabilito, il popolo fece in modo di far arrestare le teste più calde, insieme ai prelati del Collegio della Madre di Dio, furono rinchiusi dentro la chiesa, minacciata di essere data alle fiamme per far sparire ogni prova. Il deputato popolare Nicola Marchesani riuscì ad evitare il peggio per i condannati commutando la pena in perdono, che però non fu dato ai generali Mayo, Genova, Marchesani, Cieri, accusati come i fautori della rivolta. Il 12 febbraio venne saccheggiata la casa dell'arciprete di Santa Maria Maggiore Serafino Monacelli, e divelta la porta del convento di Santo Spirito, rotte due tombe per cercarvi gioielli. L'Arciprete venne arrestato e fra gli insulti della folla fu costretto a fare prima il giro della città tre volte e poi a sposare nella chiesa di Santo Spirito tre rivoluzionari, con altrettante donne, senza alcuna formalità. Il giorno successivo i novelli mariti, non trovando illibate le loro donne, pretendevano di convogliare a nuove nozze, ricevendo il netto rifiuto dell'arciprete.

I nobili di Vatso, rinchiusi prigionieri nel Collegio della Madre di Dio, furono condannati a morte, ma per intervento di Giovanni Barbarotta venne concessa la grazia; e il Barbarotta convinse i rivoltosi a far trasportare dalla chiesa di [[San Francesco di Paola]] al Collegio dei Chierici Regolari i letti, dove vi erano stati nascosti all'interno dai fratelli Teodoro, Emidio e Nicola Laccetti, armi e munizioni per i prigionieri. Il 19 febbraio la folla inferocita tentò di acciuffare il gentiluomo Raffele De Luca, rifugiatosi in chiesa dopo la distruzione della sua abitazione. Padre Bruni, dopo inutili tentativi di pacificare la gente, decise di fronteggiare la marmaglia con un fucile, accompagnato da altri monaci, e così il popolo desistette. In seguito ci fu la costituzione dell'Organo Municipale, con l'elezione alla carica dei governatori il Barone Alessandro Muzii, Nicolantonio Cardone, Francesco Bucci effettivi, Giovanni Barbarotta supplente, Carlo De Nardis avvocato dei poveri, Nicola Ricci e Arcangelo De Pompeis capitano della Guardia. Dietro l'abolizione delle tasse erariali sui terreni, sulle carni e le imposte sulle vetture e i pesi pubblici, si concordò l'organizzazione di una guardia nazionale con doppio salario, composta dagli stessi rivoltosi.<br>Frattanto il Generale Gouthard, per ristabilire il governo repubblicano, pretese che i vastesi avessero pagato 2 mila ducati per riparazione e contribuzione, oltre 350 ducati per i segretari, 750 per la truppa. Inoltre pretese una contribuzione straordinaria di 5000 durati per far scampare dalla fucilazione i quattro generali Mayo, Genova, Marchesani e Cieri. Elesse quindi Filoteo Mayo alla carica di Presidente della Municipalità e quali componenti Pasquale Barone Genova, Francesco Marchesani, Alessandro Barone Muzii, Angelo Maria De Pompeis, Nicola Barbarotta, Romualdo Celano. Lo stesso genrale riunì il Consiglio al Palazzo d'Avslos, ascoltando le richieste delle vittime dei saccheggi, e fra i responsabili ne furono individuati ben 26, condannati alla fucilazione presso la Torre di Bassano.

[[File:GabrieleRossetti.jpg|thumb|Gabriele Rossetti nelle sue memorie ricorderà, quando aveva 16 anni, i giorni della Repubblica Vastese]]
Il generale quindi tornò a [[Lanciano]] con 800 soldati, lasciando a Vasto il comandante Larieu. La truppa fu acquartierata presso il Palazzo d'Avalos, e il Larieu prese alloggio a Casa Mayo. Tuttavia il generale fu troppo duro nel reprimere alcune rivolte, abusando del suo potere, dacché il Generale Gouthard fu richiamato a porre ordine, concedendo il perdono ai catturati, che il Larieu preferiva giustiziare, minacciando anche di sciogliere la Municipalità. Le truppe francesi stettero a Vasto fino al 18 marzo 1799, quando il comandante Dath passando di lì raccolse 50 ostaggi vastesi. Essi però riuscirono a fuggire, 15 furono fucilati a [[Serracapriola]], 28 rinchiusi a [[Foggia]]. Il 20 aprile transitò a Vasto una guarnigione della Legione Napoletana, guidata dal Carafa, diretto comandante di Pescara e degli Abruzzi, La Municipalità di Vasto lo convinse ad ammettere in servizio numerosi ergastolani, che poi vennero inviati a presidiare il [[Forte spagnolo]] di [[L'Aquila]]. A Vasto venne lasciata solo la guardia civica ed il Comandante Ghilm.<br>Nei primi di maggio si sparse la notizia che i moti insurrezionali nell'alto Abruzzo e a Chieti, e anche a Vasto ci furono delle rivolte presto stroncate dal commissario di Lanciano Nicola Neri, privando la Municipalità di ogni funzione. Tolse anche la guardia civica alle porte delle mura, impose il versamento di denaro, la consegna delle vettovaglie, armi e polvere da sparo. Giuseppe Pronio, preside di Chieti, occupò nel frattempo Lanciano, e si diresse anche a Vasto, cingendola d'assedio il 28 marzo.

L'ultima parte della storia della "repubblica Vastese" è stata descritta in maniera molto dettagliata nelle storie di Luigi Anelli. Il 16 maggio, mentre il commissario lancianese Nicola Neri era a Vasto, le truppe di Giuseppe Pronio occuparono la città frentana, sicché il commissario decide di fortificarsi a Vasto, aspettando l'imminente battaglia. Il Pronio era stato nelle squadre baronali del Marchese del Vasto. Dopo la proclamazione della Repubblica venne condannato perché macchiatosi di omicidio, evase dal carcere e divenne un bandito, fatto poi prigioniero dai Borboni. Sconfisse il Generale Duhesme, e per questo fu scelto capo delle truppe nella caserma di Chieti. Nel pomeriggio del 16 marzo le truppe del Pronio giunsero a Vasto con 4000 uomini, accampandosi presso Piano d'Aragona. Nicola Neri, con 1000 uomini soltanto, oppose valida resistenza, in una battaglia durata 6 ore. I rivoltosi intanto cercarono la fuga, saltando di sotto dal Muro delle Lame, ma un tal Francescantonio Rossi venne catturato, processato sommariamente per alto tradimento e decapitato; la sua testa fu appesa al muro del convento dei Cappuccini. Quella stessa notte Nicola Neri, vista l'impossibilità della vittoria, radunò i suoi uomini ed abbandonò la città al suo destino.

Il 19 maggio Vasto fu abbandonata dai francesi, si celebrò la processione del Santissimo Sacramento, che riuscì ad arrivare senza problemi fino al campo di Pronio. Stabiliti i patti della capitolazione, la consegna delle armi, delle vesti militari francesi e di una taglia di 6400 doppie (equivalente a 163.200 lire), la processione tornò nella chiesa di Sant'Agostino, seguita dalle truppe di Pronio che occuparono la città, il quale, trovando due suoi amici presso il convento di Sant'Onofrio, ridusse assai la pena del pagamento a 1.400 doppie<br>Il 21 maggio fu la fine della Repubblica Vastese; il generale Giuseppe Pronio, in nome di [[Ferdinando IV di Borbone]] nomina per reale governo del Vasto Giovan Battista Crisci, luogotenente e magistrati coadiutori Pietro Lannuti ed altri.<br>Benché la repubblica fosse cessata, il ricordo rimase per i seguenti anni dei moti insurrezionali del [[Risorgimento italiano]], il cui fautore al livello intellettuale fu in un certo senso il poeta vastese [[Gabriele Rossetti]], che a 16 anni visse in prima persona i fatti della Repubblica, e li ricordò in sue poesie.

== L'Ottocento ==
[[File:Vasto chiesa di San Giuseppe.jpg|thumb|left|Incisione ottocentesca della Cattedrale di San Giuseppe]]
L'Ottocento vastese, iniziò all'insegna del sentimento di ribellione popolare nei confronti della monarchia borbonica, con il poeta Gabriele Rossetti che infiammava gli animi, definito il "Tirteo d'Italia". Nel [[1816]] venne creato il [[distretto di Vasto]], organo amministrativo dell'[[Abruzzo Citeriore]] entro cui erano amministrati i circondari di [[Atessa]], [[Bomba (Italia)|Bomba]], [[Castiglione Messer Marino]], [[Celenza sul Trigno]], [[Gissi]], [[Paglieta]] e [[San Buono]]. Tale distretto sarà sciolto nel [[1860]] quando Vasto sarà accorpata alla provincia di Chieti.

Nel [[1853]] con la bolla pontificia di [[Papa Pio IX]], si disponeva il ripristino della Diocesi di Vasto e l'elevazione della chiesa di San Giuseppe (ex Sant'Agostino) a rango di Cattedrale. Privilegi sollecitati presso il [[Vaticano]] dal Marchese Alfonso d'Avalos e dal re [[Ferdinando II delle Due Sicilie]], anche perché era stata confermata la promessa di dotare la città della mensa vescovile. La chiesa di San Giuseppe era stata intitolata al Patriarca, anche per rendere omaggio al re [[Giuseppe Bonaparte]], con decreto del 13 gennaio 1808, costituendosi ivi un solo capitolo, dopo la soppressione di quelli di Santa Maria Maggiore e San Pietro.<br>Con la bolla papale, veniva nominato arcivescovo il teatino Monsignor Michele Manzo, il quale entrò a Chieti il 5 maggio 1853 presso la Cattedrale, delegando come arcivescovo a Vasto il Monsignor Pietro Bottazzi, vescovo di [[Larino]]. Il 28 settembre 1856 veniva nominato vescovo Monsignor Luigi Maria De Marinis, prendendo il titolo di amministratore di Vasto, e l'esecuzione della bolla pontificia fu ritardata al 1857. Nei giorni del 12, 13 e 14 giugno di quell'anno ci furono solenni festeggiamenti per l'istituzione della Diocesi Vastese e della nuova Municipalità retta dal sindaco Vitaliano Codagnone. Il 14 giugno venne celebrata la messa pontificale nella Cattedrale, in custodia del De Marinis.

=== Vasto ''Atene degli Abruzzi'' ===
[[File:Gabriele Rossetti 2.jpg|thumb|180px|Gabriele Rossetti]]
[[File:LuigiMJarchesanibreve biografia.jpg|thumb|180px|Lo storico Luigi Marchesani]]
Dal punto di vista culturale, Vasto nel primo '800 si guadagnò il soprannome di "Atene degli Abruzzi" per l'improvvisa fioritura, dopo gli anni bui del tardo Settecento, di nuovi artisti, scultori, poeti e scrittori, i quali riuscirono a farsi conoscere anche fuori dal Regno. Autori di chiara fama in quel secolo hanno scritto gli annali della città, come ad esempio [[Luigi Marchesani]], il più noto storico locale che si occupò delle memorie della città nei volumi della ''Storia della Città del Vasto in Abruzzo Citeriore'' (1838). L'avvocato Pietro Muzii fu un altro degli illustri protagonisti, sindaco della città, che fu mecenate e promulgatore dei vari cenacoli cittadini, tra i pittori figurarono [[Filippo Palizzi]] e [[Gabriele Smargiassi]], mentre tra i i letterati ci fu [[Gabriele Rossetti]] (1783-1854), che fu educato dal maestro Nicola Tiberi, altro poeta vastese, morto nel 1805. Data la sua qualità artistica precoce, Rossetti fu mandato da Venceslao Mayo a Napoli presso la cappella di Santa Maria Maggiore, ma i suoi sonetti di stampo [[romanticismo|romantico]] attirarono le inimicizie di Ferdinando II. Andato in esilio in [[Inghilterra]], nel 1831 fu professore al King's College di [[Londra]].<br>Tra i figli di Rossetti ci furono William Michael e il famoso pittore pre-raffaellista [[Dante Gabriel Rossetti]]. William Michael si adoperò molto per conservare e curare la figura poietica del padre, sperando in un percorso di rivalutazione del poeta, specialmente dopo l'Unità d'Italia, nella città natale, ma con esisti scarsi.<br>Lo storico Luigi Anelli ricorda un episodio dell'incontro tra Rossetti e il pittore Smargiassi suo conterraneo quando per un incomprensione dialettale a casa Rossetti di generò una divertente battuta.<br>La figura di Rossetti verrà riconsiderata a Vasto soltanto nel periodo del nuovo sentimento di nazionalismo novecentesco, con la creazione di un archivio municipale, di un monumento al poeta presso Piazza Rossetti, e della musealizzazione della sua casa natale.

Sempre sul piano culturale, Vasto nel [[1819]] si dotò del primo teatro municipale. In ordine di fondazione il teatro di Vasto fu la seconda istituzione pubblica d'Abruzzo, dopo il San Ferdinando di [[Chieti]] (1818, oggi [[Teatro Marrucino]]), il Real Teatro dell'Aquila (1820), il Teatro San Ferdinando di [[Lanciano]] (1841, oggi Teatro Fenaroli) e il Teatro Civico di [[Teramo]] (1865). Fu costruito presso l'ex monastero di Santo Spirito e inaugurato il 30 maggio 1819 in forme incomplete, su disegno dell'ingegnere Taddeo Salvini di [[Orsogna]]. Il primo deputato del teatro fu Domenico Laccetti, i lavori furono prolungati fino al 1830 con la progettazione delle parti lignee dell'ingegnere Nicola Maria Pietrocola, con la realizzazione delle stesse dall'ebanista Pasquale Monacelli.<br>Le opere più importanti eseguite dopo il 1832 furono quelle di [[Gaetano Donizetti]] (stagione di maggio 1842) e ''[[La traviata]]'' di [[Giuseppe Verdi]] (1857).
[[File:SM ferdinando II.png|thumb|left|180px|[[Ferdinando II delle Due Sicilie]], che visitò Vasto il 15 settembre 1832, inaugurando il Real Teatro Borbonico, oggi Teatro Rossetti]]
Il Real Teatro Borbonico fu inaugurato nel 1832 dal Sovrano [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] in visita in Abruzzo, e i dettagli del suo viaggio furono riportati dal cronista Florindo Muzii. Il 14 settembre Ferdinando, giunto da [[Termoli]], si recò nella chiesa di San Giuseppe (oggi cattedrale) per la messa, poi risiedette nel Palazzo Marchesale. Nella serata ci fu l'inaugurazione con discorso del teatro. Il giorno successivo dopo la messa privata il Canonico Uranio Mayo, il re salutò i cittadini e alle 15 pomeridiane partì da Santa Maria Maggiore fino alla chiesetta di San Michele, congedandosi col popolo, mentre dal castello si udivano gli spari di cannone a salve.

=== Il brigantaggio del 1814 ===
Nel primo Ottocento Vasto subì le scorribande del [[brigantaggio]] nel [[1814]], da parte di sette bande, mentre nel [[1816]] vide una parte del costone franare sulla costa, presso Porta Palazzo. Durante il governo francese fu spietata la repressione del brigantaggio, con la condanna a morte di 125 briganti tra il 1809 e il 1810, e altri 166 imprigionati. Il 12 e il 13 aprile del 1814 i cittadini, stanchi delle scorribande, risposero con violenza alla nuova aggressione che cinsero d'assedio le mura. I briganti erano capeggiati da Fulvio Quici da [[Trivento]], Pasquale Preside, sanguinario malvivente di [[Scerni]] e Basso Tomeo, i quali incendiarono la caserma dei gendarmi, rinchiudendoci le mogli e i figli degli assenti, facendoli morire arsi vivi. Per contrastare l'attacco venne chiamato da Chieti [[Giuseppe Nicola Durini]], il quale convinse il popolo a prendere le armi, e facendolo asserragliare dentro le mura del [[Castello Caldoresco]].<br>I briganti ripiegarono verso il monastero di Santo Spirito per poter entrare da Porta Nuova, ma furono ugualmente bersagliati e costretti a riparare nella cappella di San Giacomo. Il barone Durini piazzò i suoi tiratori sopra Torre Diamante (o Diomede), sparando raffiche di fuoco a ogni tentativo di fuga. Per mettersi in salvo, i briganti furono costretti ad aprirsi un varco nella porta situata sul lato opposto a quello d'ingresso. La resistenza durò fino alle ore 17 del giorno successivo, quando le notizie dell'arrivo di nuove guarnigioni mise in fuga i briganti rimasti.

Durante l'assedio, i briganti recarono molti danni, abbatterono il telegrafo ad asta nel Piano d'Aragona, che sarà spostato più sopra Torre di Bassano, danneggiarono l'acquedotto della fontana pubblica, s'impadronirono delle farine indirizzate alla città, divelsero le canne di piombo dell'organo di Sant'Onofrio per fonderle in palle d'archibugio. Per i meriti conseguiti, nella seduta consigliare del 24 aprile 1814, il sindaco Pietro Muzii offrì la cittadinanza onoraria al barone Durini, e per occasione fu coniato un medaglione di quaranta centimetri, con l'effigie del barone, realizzato dallo scultore Florindo Neglieri.
[[File:Vasto 2010-by-RaBoe-05.jpg|thumb|Il santuario di San Michele]]
=== L'epidemia di colera del 1837 e il culto di San Michele ===
Dopo i fatti del brigantaggio, Vasto benne colpita nel marzo [[1817]] da una violenta epidemia di [[tifo]] che mieté oltre 2000 vittime. Nel 1836 esplode il colera nell'isola di [[Rodi]], e il rischio di contagio era molto alto, poiché Vasto commerciava con quelle zone. La popolazione si rifugiò nella preghiera, e il Sottintendente Coletti ordinò un triduo di ringraziamento a [[San Michele]] Arcangelo, affinché preservasse la città dal colera, in memoria dei prodigi accaduti due secoli prima. Venne coniato un medaglione d'argento con inciso "La fedelissima città di Vasto al glorioso protettore San Michele Arcangelo, 1' 31 dicembre 1836". Agli inizi del luglio 1837 il colera si diffuse in [[Molise]] a [[Portocannone]], il 13 luglio venne riscontrato il primo caso di contagio a Vasto, anche se il flagello colpì soltanto una ristretta cerchia della popolazione nelle campagne circostanti. I vastesi allora gridarono al miracolo di San Michele ed iniziarono a raccogliere fondi per il restauro della statua, con l'acquisto di una spada d'argento, un nuovo elmo d'argento portato da Napoli e un nuovo mantello.<br>E per l'occasione venne anche ricostruita ex novo l'antica cappella di San Michele presso il Piano d'Aragona, ora dietro la villa comunale, oggi conosciuta come il [[chiesa di San Michele Arcangelo (Vasto)|santuario di San Michele]], a pianta circolare con quattro lati a forma di croce greca, in stile neoclassico.

=== Dalla Carboneria al Risorgimento ===
==== I moti del 1821 ====
[[File:Nicola Palizzi Vasto.jpg|thumb|300px|Vasto in un dipinto di Nicola Palizzi del 1853]]
L'Abruzzo fu governato, nel periodo napoleonico, da [[Giuseppe Bonaparte]], fratello di [[Napoleone]]. Dopo il ripristino del regno borbonico con il [[Congresso di Vienna]] (1815), [[Ferdinando I delle Due Sicilie]] riprese possesso del suo trono, e questo ritorno non fu visto con molta soddisfazione dal popolo sia napoletano che vastese, poiché si erano sperimentati nuovi programmi di libertà e uguaglianza, senza sottostare a leggi monarchiche. Per le forti pressioni operate dai [[Corbonari]], Ferdinando I promulgò la [[Costituzione spagnola]], e il 6 settembre 1820 i vastesi elessero come deputati l'avvocato Pasquale Borrelli da [[Tornareccio]] e Giandomenico Paglioni di [[Castiglione Messer Marino]]. Di questo periodo di confusione, profittò l'Austria, che colse l'occasione per recuperare il territorio napoletano. Le varie parti d'Italia costituirono dei battaglioni nazionali di militi. Il barone di Vasto Luigi Cardone a sue spese formò il suo battaglione, e partì il 22 febbraio 1821 verso le frontiere minacciate dagli austriaci.<br>Il 7 marzo le truppe napoletane attaccarono il nemico a [[Rieti]], e purtroppo l'esito fu negativo, portando allo sbando l'esercito napoletano. Il battaglione di Cardone ricevette l'ordine di riprendere la collina occupata dai tedeschi, e Luigi Pantini, comandante della 1a compagnia, eseguì brillantemente l'operazione, costringendo il nemico ad abbandonare la postazione.

L'impresa dei vastesi fu ampiamente lodata per le sue distinzioni militari, Ripristinato il governo borbonico, grazie agli austriaci, su ordine degli Intendenti di Provincia, le città dovettero inviare un rappresentante ad inchinarsi al re. Il 28 marzo il barone uLigi Cardone e Pietro Muzii furono inviati a [[Roma]] e a [[Napoli]], rimessi successivamente agli affari del Regno.<br>Negli anni successivi, con la costituzione del gruppo "[[Giovine Italia]]" di [[Giuseppe Mazzini]] (1831), anche a Vasto si respirò il sentimento della Carboneria, sotto il nome di "Vendita dei Filantropi Istoniesi". Gli affiliati si riunivano inizialmente in un sotterraneo del Portone Panzotte, dietro la chiesa di Santa Maria, nel 1811 passarono al convento di Santo Spirito, quindi in quello di San Francesco e poi in alcune stanze del Palazzo d'Avalos, nel 1820. Il capo del gruppo era il canonico don Romualdo Casilli che, come scrisse Luigi Anelli, il 21 luglio 1820 venne conferito della Fascia di Gran Maestro della Carboneria presso San Giuseppe.

==== Il Quarantotto Vastese e l'Unità d'Italia ====
Con l'editto contro i carbonari di Ferdinando I, gli affiliati vastesi si dispersero, il sigillo dei Filantropi Istoniesi venne gettato in mare affinché non fosse trovato. Il gruppo della "Giovine Italia" a Vasto fu fondato nel 1842 da Gaetano Crisci, convinto assertore degli ideali mazziniani, e fece della sua casa luogo d'incontro della nuova confraternita. Dalla torre della casa, presso Santa Maria Maggiore, gli affiliati per mezzo del fuoco e di riflessi, comunicavano con gli altri adepti dei paesi al confine col Molise. Nel 1845 i patrioti furono scoperti e denunciati dai cospiratori; portati a Napoli vennero processati con condanna a morte, anche se Roberto Betti, Intendente di [[Reggio Calabria]], riuscì in extremis a salvarli dalla forca. Nel frattempo a Vasto si crearono disordini, e il governo borbonico inviò dal 9 al 16 novembre 1847 circa mille uomini comandati dal Colonnello Controfiano.
[[File:Pittatore Vittorio Emanuele II 1861.jpg|thumb|190px|Vittorio Emanuele II, che fece visita alla città il 14 novembre 1863]]
Nel [[1848]], la notizia che [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] aveva concesso la Costituzione, fu accolta a Vasto con una grande dimostrazione, ma subito dopo il re la ritirò, rimangiandosi la parola, provocando le furie del popolo, che insorse il 15 maggio. Nelle barricate c'era anche il vastese Luigi La Vista, morto negli scontri contro le truppe svizzere, insieme ad Aureliano Monteferrante. La repressione di Ferdinando Ii fu feroce anche a Vasto, con numerosi arresti di patrioti, o presunti tali. I patrioti rimasti, dopo la morte di Luigi Cardone, si strinsero intorno al successore confratello Silvio Ciccarone, capo indiscusso del partito liberale.<br>Il pittore vastese [[Filippo Palizzi]], anch'egli patriota, dipinse vari quadri che ritraevano gli avvenimenti politici di quei tempi a Vasto, ispirando la rivoluzione popolare e il sentimento patriottico, come ''La sera del dì 11 febbraio 1848 - Napoli'' e ''Il 15 maggio a Napoli''. Ritrasse anche [[Giuseppe Garibaldi]] con il suo gruppo presso la [[battaglia del Volturno]], e anche una tela del Principe [[Amedeo di Savoia]].

I liberali vastesi, sotto la guardia di Silvio Ciccarone, rimasero in attesa a Vasto per una decina d'anni, dato che al patriota era stato conferito il grado di Maggiore della Guardia Nazionale. Garibaldi, dopo la rivolta di [[Palermo]], partito da [[Quarto dei Mille]], sbarcava l'11 maggio 1860 a [[Marsala]] per proseguire la sua missione. A Vasto giungeva notizia che il Generale Garibaldi era sbarcato a [[Reggio Calabria]] l'11 agosto, e da più parti si levarono proposte di intervento nella missione unificatrice. La Guardia Nazionale fece dimostrazioni contro il giudice De Piscinis, sicché il Maggiore Ciccarone si decise il 4 settembre a guidare la sua milizia per occupare la Sottindentenza e dichiarare decaduta la monarchia borbonica a Vasto, proclamando il governo provvisorio sotto la sua dittatura, chiamando a sindaco della città Filoteo d'Ippolito.<br>La città fu imbandierata con il tricolore, mentre la Guardua Nazionale abbatteva le insegne borboniche, disarmava la gendarmeria. Il Maggiore Ciccarone intanto inneggiava all'Italia unita. Ciò avvenne prima dell'entrata ufficiale di Garibaldi a Napoli, sicché Vasto è considerata la prima città d'Abruzzo insieme a [[Lanciano]] ad insorgere contro il regime borbonico, proclamando l'indipendenza nazionale in nome di [[Vittorio Emanuele II]] e di Garibaldi.

Il 20 ottobre 1860 in occasione della venuta di Vittorio Emanuele in Abruzzo, dal Municipio di Vasto venne mandato Filoteo Palmieri, insieme a Filoteo d'Ippolito, per porgere il saluto della città al primo Re d'Italia, ospite nella villa di Emidio Coppa a [[Pescara]]. Il re Vittorio Emanuele nel [[1863]] tornerà a Vasto, il 14 novembre, in visita della città, inaugurando la stazione ferroviaria della Marina.

== Il Novecento ==
Nel corso del primo Novecento ci furono miglioramenti idrici e stradali, come il potenziamento della stazione ferroviaria. Nel 1906 il [[faro di Punta Penna]] venne progettato, su interessamento dell'Onorevole Francesco Ciccarone, su progetto di Olindo Torcioni del Genio Civile di Chieti. Il faro venne completato nel 1912, ed era il secondo più alto d'Italia, dopo quello di [[Genova]], misurante 65 metri.l Nel 1908 venne sistemato il porto, anche se i lavori furono interrotti a causa della [[Grande guerra]].

=== Era fascista: da Vasto a Istonio ===
[[File:Primo piano rossetti.jpg|thumb|230px|Primo piano della scultura di Gabriele Rossetti, nel monumento a lui costruito nell'omonima piazza]]
Nel [[1924]] venne sistemata la Piazza Rossetti, poiché fino ad allora era solo un vasto campo sterrato, che separava la parte delle mura di Bassano al Castello Caldora e la chiesa di San Francesco di Paola. L'ampio progetto urbano comportò la sistemazione della piazza, da dedicare al poeta [[Gabriele Rossetti]] con fastoso monumento, l'abbattimento di Porta Castello, e il collegamento della città vecchia a quella nuova, che si sarebbe sviluppata lungo l'asse di Corso Nuova Italia, con edifici moderni e più ampi per ospitare le principali attività commerciali, gli uffici, e il Politeama Ruzzi, dove c'era anche il cinematografo.<br>Venne risistemato anche il Piano d'Aragona, dove venne inaugurata la monumentale villa comunale.

Il fascismo a Vasto incentivò anche l'avvio definitivo dei primi segnali del turismo balneare, apparsi nel primo Novecento con la costruzione di piccoli stabilimento balneari per la nobiltà e l'alta borghesia sulla Marina. La Marina nel corso degli anni '30 si sviluppò molto, con la costruzione di ville residenziali, costituendosi un vero e proprio secondo nucleo abitato, e con l'inaugurazione di stabilimento balneari moderni per il turismo estivo.<br>Con Regio Decreto del 31 marzo 1938, la Città del Vasto veniva autorizzata a cambiare la propria denominazione in "Istonio", in ricordo delle origini romane. La richiesta di cambio di denominazione venne approvata in sede di consiglio comunale dal 31 luglio dell'anno precedente. Già il 24 maggio, tre giorni dopo la seduta del consiglio comunale, con la presa d'atto del decreto, lo storico Luigi Anelli, pubblicò un foglio spiegando le motivazione della decisione del nuovo toponimo, millantando le nobili origini romane di ''[[Histonium]]'' da rispolverare a fronte dei secoli di saccheggi e distruzioni dei barbari, dei longobardi e dei turchi, poiché il termine "Vasto" sarebbe una storpiatura del termine "Guasto" dall'originario Guasto d'Aymone. Dopo la liberazione della città nel [[1943]], con delibera del 10 ottobre 1944 il sindaco Giuseppe Nasci inoltrò apposita richiesta per ripristinare l'antica denominazione del Vasto, con approvazione del 15 novembre, e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 1944.

=== Il campo d'internamento di Villa Marchesani ===
[[File:Vasto villa Marchesani.jpg|thumb|260px|Illustrazione tardo-ottocentesca di Villa Marchesani (Vasto Marina), usata come campo di prigionia dal 1940 al 1943]]
Anche Vasto, allo scoppio della [[seconda guerra mondiale]], ebbe il suo campo d'internamento di prigionieri di guerra, ebrei, popolazioni di minoranza etnica varia, e sovversivi politici. Il 1 giugno 1940 il Ministero dell'Interno inviò alle prefetture una circolare telegrafica che riassumeva le norme sull'internamento, in cui si richiedeva l'utilizzo di qualsiasi struttura, dalle semplici ville alle prigioni e i castelli. Quando l'Italia entrò in guerra, il 10 giugno 1940 ci furono i primi arresti, e i trasferimenti nelle località destinate all'internamento. In Abruzzo furono circa 12 i campi di prigionia, il campo di Istonio Marina fu uno dei primi abruzzesi ad essere allestiti. L'11 giugno era già attivo: costituito dalla villa Marchesani e dall'albergo dell'avvocato Oreste Ricci. All'inizio aveva una capienza complessiva di 280 posti, poi diminuita a 170, il servizio di sorveglianza era effettuato da 12 carabinieri, quello sanitario dal dottor Nicola D'Alessandro. A dirigere il campo fino al 16 agosto 1943 fu il commissario Giuseppe Prezioso, poi sostituito dal vice Giuseppe Geraci. Nel campo d'Istonio vennero internati specialmente i dissidenti politici italiani, e solo negli ultimi mesi dei prigionieri slavi. Nel luglio 1940 arrivarono i primi 79 internati italiani.<ref></ref>Nell'estate 1941 il campo venne completamente occupato, con 185 presenze in più; nel gennaio 1941 venne scoperta un piano sovversivo dei prigionieri con promotori Mauro Venegoni e Angelo Pampuri, trasferiti poi alle Tremiti. Anche nel [[1942]] il campo rimase sovraffollato, solo nel 1943 il numero scese intorno alle 150 presenze. Le condizioni di vita furono rese difficili dalla mancanza di spazio e degli infissi, l'insufficienza dei servizi igienici, dalle difficoltà di approvvigionamento. Pertanto i direttori stipularono un contratto con un pastificio della vicina Casalbordino, per distribuire gli scarti della produzione agli internati.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, nei campi vennero liberati i prigionieri dagli Alleati, essendo fuggiti i direttori delle prigioni. Alcuni campi abruzzesi, come quello di Fonte d'Amore a [[Sulmona]], venne completamente abbandonati e i prigionieri poterono fuggire attraverso i valichi della [[Majella]]. Il Prefetto della provincia di Chieti, verso la fine di ottobre, comunicava al Ministero dell'Interno che i campi del circondario si erano sciolti. I prigionieri si unirono agli Alleati nella guerra di liberazione contro la [[Wehrmacht]] nazista, che aveva tracciato una linea di difesa lungo il Trigno, e la "[[linea Gustav]]" più a nord a Ortona.

=== Seconda guerra mondiale ===
==== La battaglia della valle del Trigno ====
Tra la fine di ottobre e i primi di novembre [[1943]] la valle del Trigno fu teatro d'importanti operazioni belliche, legate agli sviluppi della [[seconda guerra mondiale]]. In quei giorni la Linea San Salvo-Isernia fortificata dai tedeschi si trovò nell'ambito della "[[campagna d'Italia]]", nelle cui operazioni furono coinvolti gli Alleati americani e inglesi, e i tedeschi della Wehrmacht.
[[File:Fi 156 and Stinson Vigilant RAF Vasto c1944.jpg|thumb|La Royal Air Force sulla spiaggia di Vasto (1944)]]
L'8 settembre infatti, quando si diffuse la notizia dell'armistizio e della resa incondizionata del governo di Roma agli alleati, la "Campagna d'Italia2 prese avvio. Parte dell'VIII Armata Britannica del Generale [[Bernard Law Montgomery]] risaliva velocemente la [[Calabria]], dopo lo sbarco a [[Palermo]], e la parte restante cominciava a sbarcare a [[Taranto]] e [[Bari]] per poter arrivare a [[Foggia]], mentre il resto degli Alleati americani si sarebbe diretto a [[Napoli]] (con lo [[sbarco di Salerno]] del 9 settembre dell'Armata Clark). La manovra era di raggiungere, in due divisioni, nel più breve tempo possibile la linea Pescara-Roma, occupando la Capitale. Il Comando Supremo della Wehrmacht all'inizio incerto se impegnare gli angloamericani a sud di Roma, come voleva il Generale [[Albert Kesselring]], oppure l'Appennino tosco-emiliano, come voleva Rommell, decideva di opporre agli alleati la X Armata von Vietinghoff sul Volturno (linea Viktor), sul Trigno-Alto Volturno la linea Barbara, sul Sangro la Bernhard-Stellung, fino alla Gustav di Ortona.

I tedeschi requisivano armi, vettovaglie, obbligavano gli uomini validi a prestazioni lavorative gratuite per realizzare le trincee, le piazzole per i cannoni e le fortificazioni varie. Alla fine di settembre l'VIII Armata Britannica aveva completato l'occupazione della Puglia con il bombardamento di Foggia, e si era rinforzata dell'8va Armata Indiana e della 78sima Britannica per rilevare la linea sul Biferno e poi sul Trigno. Dopo la conquista del Molise partendo dalla costa di [[Termoli]], i tedeschi, riavutisi dalla sorpresa, fecero intervenire dal versante tirrenico la 16ma Panzerdivision, reduce dai combattimenti si Salerno; la battaglia intorno a Termoli infuril per tre giorni (4, 5, e 6 ottobre) con gravi perdite da entrambe le parti.
[[File:The Campaign in Italy, September-december 1943- the Allied Advance To the Gustav Line- Personalities NA10338.jpg|thumb|left|Il generale [[Bernard Law Montgomery]] tra i capi delle operazioni belliche a Vasto, settembre 1943]]
Nei giorni dell'8-22 ottobre, il Generale [[Bernard Law Montgomery]] concesse un periodo di riposo alle formazioni, considerando il fatto che lo stress delle truppe avrebbe potuto influire negativamente sui piani alleati. Nel frattempo i reparti dell'VIII Armata chiudevano lentamente fino a nuove posizioni tedesche, occupando quasi tutti i centri situati tra il Biferno e la destra del Trigno ([[Petacciato]] il 19 ottobre, [[Montenero di Bisaccia]] il 22 ottobre, [[Acquaviva Collecroce]] il 24 ottobre, [[San Felice del Molise]], [[Montemitro]] e [[Montefalcone nel Sannio]] il 27 ottobre), preparandosi alle pote dell'Abruzzo al successivo scontro presso [[San Salvo]]. I tedeschi, probabilmente per guadagnare tempo nell'opera di fortificazione, scelsero di resistere a oltranza sulla linea del Sangro, denominata "Bernhard-Stellung". La linea Barbara del Trigno, assunse le caratteristiche di linea tattica per ritardare le operazioni.<br>Intorno alla metà di ottobre, sulla linea San Salvo-Colli a Volturno, i tedeschi disponevano di ormai 4 divisioni: la 16sima Panzer, la 1a Paracadutisti, la 26sima Panzer e la 29sima Panzergrenadier, raggruppata come LXXVI Panzer Korps sotto il comando del generale Herr. Gli Alleati, dal canto loro, potevano contare sul dominio della costa, nel golfo di Vasto e di Termoli, in appoggio alle forze terrestri, due cacciatorpediniere, una flottiglia di motosiluranti ed altre unità navali.

La battaglia del Trigno ebbe inizio la notte tra il 222 e il 23 ottobre, allorché un battaglione della 78sima Divisione Britannica riuscì ad attraversare il fiume dalla piana di [[San Salvo]] ed a stabilire una testa di ponte sulla riva sinistra del corso d'acqua (Bosco Motticce). Ma i pattugliamenti e i piccoli scontri sulla linea degli avamposti tedeschi non diedero risultati confortanti, tanto da indurre Montgomery a tentare una prima decisa azione di sfondamento alle postazioni nemiche di San Salvo, già nella notte tra il 27 e il 28, occupando il paese. Tuttavia i tedeschi seppero opporre tenare resistenza, e l'operazione fallì. Nel 29 di ottobre già i britannici persero 100 uomini, ebbero 250 feriti e fecero 55 prigionieri. Montgomery allora concentrò il grosso delle forze nella bassa valle del Trigno, decidendo di attaccare le posizioni nemiche nella notte tra il 2 e il 3 novembre. Più all'interno l'8va Divisione Indiana avrebbe preceduto (notte del 1-2 novembre) e poi accompagnato tale azione puntando sui centri di [[Tufillo]] e [[Palmoli]], a nord di Vasto.<br>L'assalto alle posizioni nemiche del basso Trigno fu perciò preparato con molta cura, e fu preceduto da intensi bombardamenti terrestri e aeronavali, che crearono il panico tra gli abitanti dei centri. Tufillo fu attaccata senza successo da pakistani e inglesi la notte del 1 novembre. Il 2 novembre i bombardamenti tattici alleati colpirono [[Cupello]], [[Furci]], [[Celenza sul Trigno]] e [[Fresagrandinaria]], provocando morti civili. Obiettivo dei bombardieri era di isolare le posizioni tedesche di San Salvo e Tuffillo, che sarebbero state attaccate più tardi dalla fanteria. Mentre l'8va Divisione Indiana tentava di conquistare Tufillo senza successo, con gli uomini del 3° Reggimento Paracadutisti Tedeschi, il cannoneggiamento dei colli di Cupello, San Salvo e Vasto divenne violentissimo. I battaglioni della 78sima Divisione Britannica iniziarono l'avanzata verso San Salvo, mentre la notte una flottiglia di motosiluranti simulava uno sbarco per ingannare i tedeschi. La mattina del 3 novembre i combattimenti sembrarono risolversi a favore dei britannici, i carri Sherman del 46simo Royal Tank Regiment, aprendo un varco negli avamposti dei Colli (Montenero), consentirono alle fanterie irlandesi e inglesi di raggiungere le periferie meridionali di San Salvo. Occupata la città, si passò a Cupello, ancora bombardata per confondere i tedeschi, dove morirono 74 civili.

Benché l'armata tedesca pareva retrocedere, il 2ndo Reggimento Panzer tentò un primo contrattacco, le cui corazzate costrinsero gli Sherman britannici ad arretrare verso il fiume. Il generale Sieckenius, comandante della 18° Divisione Panzer, preparò una seconda controffensiva per riconquistare San Salvo,il cui scalo ferroviario ancora resisteva. Il contrattacco a suon di cannoni fu respinto dalle fanterie britanniche dei "Buffs" del Royal East Kent Regiment, che presidiava l'area di contrada Sant'Antonio, con perdite civili. I tedeschi allora compirono una ritirata nella zona Vasto-Cupello, e dopo degli scontri il 4 novembre, sulla linea di Colle Pizzuto (la "Vineyard Hill") presso Masseria Genova-Rulli, il 5 novembre le prime unità dell'VIII Armata britannica poterono entrare a Vasto e Cupello, dichiarandole città libere.

==== La liberazione di Vasto del 5 novembre 1943 ====
[[File:Bernard Law Montgomery.jpg|thumb|190px|Bernard Montgomery entrò a Vasto liberata il 5 novembre 1943]]
L'entrata delle truppe alleate a Vasto il 5 novembre [[1943]] ha un risvolto inedito e del tutto particolare. In tutta la città l'aviazione inglese aveva effettuato mitragliamenti lungo le strade, e controllato le varie vie della periferia e del centro per assicurarsi l'assenza della presenza tedesca. Infatti con l'occupazione tedesca di Vasto, nei giorni precedenti, si tenne il 2 ottobre un abboccamento tra il podestà Silvio Ciccarone e il tenente Angelo Cianci su come esaminare le opportunità di meglio tutelare le condizioni di sicurezza della popolazione della città. Infatti a Vasto non ci furono rappresaglie tedesche, come nella vicina Lanciano, poiché la popolazione fu invitata a non insorgere. Il 16 ottobre un bombardamento colpì la cappella del Sacro Monte dei Morti nella chiesa di San Pietro, due giorni dopo due cacciatorpedinieri inglesi si affacciarono sul golfo, cannoneggiando la città, nella parte di Loggia Amblingh. I tedeschi allora imposero l'evacuazione della città e la consegna delle armi, ordinando di di prendere 5 ostaggi della popolazioni per evitare rappresaglie. Tra gli ostaggi si offrì lo stesso podestà Ciccarone. Nella notte del 4 novembre si sentirono a Vasto dei forti boati, poiché erano state minate delle abitazioni in Corso Nuova Italia dai tedeschi, in via del cimitero per sbarrare l'avanzata alleata. Due Palazzi in Corso Mazzini e uno in zona San Francesco vennero presi a cannonate, e la mattina del 5 novembre i nazisti abbandonarono la città, preceduti dai carri armati "Tigre", in direzione di Casalbordino.

Assicurata la calma e l'assenza dei tedeschi, la mattina del 5, il generale Montgomery, che soggiornava nel quartiere generale presso un autocaravan alle porte della città, rubato a un generale italiano in fuga (con altri brevi soggiorni presso la Villa Virginia nel parco comunale), fece ingresso a Vasto con il grosso dell'VIII Armata. Il quartier generale fu fissato a Palazzo Palmieri, dietro il Castello Caldora, la residenza del Town Mayor era nella torre di Bassano, i due edifici scolastici di Corso Nuova Italia divennero ospedale militare. Dal corso, provenienti dalla Statale Adriatica affluivano interminabili convogli corazzati che transitavano per Piazza Rossetti, dopo aver superato il monumento, per proseguire su Corso Garibaldi verso il Sangro. Montgomery tornerà a fine dicembre 1943, dove terrà a Vasto nel teatro Rossetti un discorso di addio alle truppe, per partire alla volta della [[Francia]], per organizzare lo [[sbarco in Normandia]].

=== La frana del 1956 ===
[[File:Portale della Chiesa di San Pietro sulla passeggiata archeologica.jpg|thumb|300px|Veduta del portale della chiesa di San Pietro, demolita a causa dei problemi statici dopo la frana, e mai più ricostruita]]
Dopo la guerra, Vasto ebbe una lenta ripresa economica, ristabilitasi negli anni '50, con la ricostruzione completa del porto commerciale, e con le principali vie della città, e la riattivazione delle attività economiche. Tuttavia tra il [[1955]] e il [[1956]] fu colpita da un grave smottamento che interessò il costone orientale del centro storico, con irrecuperabili perdite di monumenti storici.
==== La prima frana del 22 febbraio ====
Già altre frane nei secoli si erano verificate, come quella del [[1816]], che fece sprofondare una parte del costone di Loggia Amblingh nella direzione sud verso San Michele. Le prime avvisaglie della tragica frana del 1956 si fecero sentire già dal 1953, quando il commissario prefettizio Generale Michele d'Adamo, lamentava dei problemi di rischio frana nella zona Muro delle Lame, nel quartiere antichissimo di Guasto d'Aymone, presso la chiesa di San Pietro. <ref></ref>
Tra i tecnici intervenuti per esaminare la questione, uno propose di scavare un tunnel sotterraneo da Piazza del Popolo a Piazza San Pietro per dirottare le acque delle cisterne che si trovavano sotto la città antica. Della proposta però non se ne fece nulla, e nel settembre 19655 già comparvero le prime crepe sulla passeggiata del Muro delle Lame, che si mostrarono anche sugli edifici affacciati sul mare.<br>Ad ottobre per scongiurare la frana don Romeo Rucci decise di portare in processione la reliquia del legno della Croce conservata a San Pietro, a cui partecipò tantissima gente, consapevole dell'imminente catastrofe. A fronte del tempo che trascorreva e delle crepe sempre più vistose, l'amministrazione comunale decise di fare evacuare le case più a rischio, con proteste degli abitanti. La gelata del febbraio [[1956]], che portò nevicate abbondanti in tutta Italia e copiose piogge a Vasto, peggiorò ulteriormente la situazione, accelerando i tempi dell'evoluzione dello smottamento imminente.<br>Con l'innalzarsi della temperatura, la neve caduta a Vasto si sciolse, e le acque furono assorbite dalla terra.<br>La mattina del 22 febbraio 1956 si udì un forte boato: una quarantina di case sul Muro delle Lame si staccarono dal costone e franarono verso la costa, alzando un immenso polverone. Fortunatamente la zona era stata già evacuata, e la popolazione ospitata nella scuola elementare. Gli unici ancora presenti nella zona rossa erano le suore delle Figlie della Croce e don Michele Ronzitti, che al momento del disastro si trovava nella cappella di San Giovanni, presso San Pietro, intento a sbrigare le pratiche di un matrimonio. Al momento del disastro il polverone penetrò anche nella chiesa, come scossa da un terremoto, e così anche questi ultimi furono costretti ad abbandonare il quartiere.

Mezz'ora dopo l'accaduto, la popolazione provvide a trasferire dalla chiesa di San Pietro le statue e le suppellettili presso la vicina chiesa di Sant'Antonio, non rientrante nella zona rossa. Due giorni dopo, il parroco organizzò un'imponente processione religiosa con la statua di [[San Michele]], le reliquie della Sacra Spina di Santa Maria Maggiore e quella del braccio di Santa Liberata, sperando di stornare la sciagura. Immediatamente dopo la processione scoppiò un violento temporale, e la popolazione pensò che la pioggia avrebbe contribuito ad allargare la frana. Tuttavia non accadde nulla, e nei giorni seguenti ci fu lo sfollamento di altre 60 famiglie per un totale di 117. Intanto dal governo italiano furono stanziati 50 milioni di lire per la costruzione delle Case Popolari.

==== La seconda frana del 28 agosto ====
[[File:Vasto 2011-08 by-RaBoe-010.jpg|thumb|320px|La zona di Via Adriatica, prima del 1956 occupata dalle case, dal Palazzo Marchesani e dalla chiesa di San Pietro (resti della facciata sulla sinistra). In fondo la chiesa di Sant'Antonio di Padova, ex San Francesco d'Assisi]]
L'allerta per le zone a rischio si estese anche nel rione San Nicola, a Casarza e a Torricella, dove si registrarono dei crolli. Infatti nell'estate del '56 si udirono forti boati prezzo Piazza del Popolo, nel rione San Michele e in via Tre Segni, dove crollò la via che conduceva a Fonte Joanna. La mattina del 28 agosto si scopersero paurose crepe nella zona di San Pietro. Il giorno successivo lo storico Palazzo Marchesani, opera di Francesco Ponza, in pochi istanti si spaccò in due e si inabissò, mentre un'altra porzione di mura di 50 cm, si staccò dalla parete, frantumandosi in discesa.<br>Ad un primo convegno del Genio Civile, se ne seguirono altri dei rappresentanti dell'istituto Case Popolari, e intanto vennero chiamati professori universitari e geologici per fare chiarezza sulla frana in continua evoluzione. Tutti i presenti denunciarono la gravità della situazione e un intervento immediato intervento di risanamento del costone. L'indagine geomorfologica, già iniziata dal Genio Civile di Chieti, consentì la ricostruzione della formazione stratigrafica del suolo sottostante, ed in particolare permise di constatare che la piattaforma di Vasto aveva una potenza di circa 30 metri, perché costituita nella maggior parte da sabbie e ghiaie e contenuto argilloso. Nella zona a monte si creavano distacchi da pareti di sabbia lievemente cementate, che finendo sulla parte sottostante, premevano sulle sabbie caotiche e scivolamento verso il mare, fenomeno alimentato dalle precipitazione. Con l'Onorevole Giuseppe Spataro vennero studiati i primi interventi concreti per preservare l'area storica da nuove frane. Il progetto del Genio Civile di Chieti prevedeva la costruzione di un muraglione di sostegno più a valle, bocciato dal Consiglio Superiore, e venne scelto un altro più drastico che prevedeva la demolizione delle case rimaste in piedi, ma sull'orlo del precipizio, inclusa la stessa storica chiesa di San Pietro, del XIII secolo.

Dopo la realizzazione di un cunicolo drenante nelle argille, per allontanare le acque, notevoli furono le difficoltà nella realizzazione delle opere. La chiesa di San Pietro, rimasta in piedi, ma lesionata dalle crepe, venne demolita nel [[1959]], con la scelta di un progetto economico, di creare una passeggiata lungo la nuova via Adriatica. Nel 1957 don Romeo Rucci e altri prelati, accompagnati dall'Onorevole Giuseppe Spataro si recarono al Ministero dei Lavori Pubblici per cercare di salvare la chiesa, benché già i lavori approvati avessero previsto la sua demolizione, che avvenne a partire dal 2 dicembre 1959, staccata pezzo per pezzo, dopo essere stata spogliata degli arredi più preziosi. Benché quello che si fosse potuto recuperare dell'edificio era stato portato a termine, la gente del rione assistette con profonda commozione alla distruzione della chiesa, consapevole che in quel giorno un pezzo di storia della città se ne sarebbe andato per sempre. Venne preservata solo la porzione di facciata con il portale gotico, e negli anni successivi ci furono proposte di ricostruzione di una nuova parrocchia per garantire la continuità storica della chiesa mediante gli arredi spogliati e le confraternite, ma non se ne fece nulla né da parte delle amministrazioni, né da parte dell'Arcidiocesi.

== Epoca contemporanea ==
Dopo gli eventi della frana, Vasto ha registrato un'impennata economica negli anni del boom. L'economia ha riguardato non solo lo sviluppo del turismo balneare, con la costruzione di stabilimenti, hotel, camping village e strutture ricettive presso la Marina (uno dei primi è "La Ciucculella"), ma anche quello industriale. Nella zona è stato potenziato il porto, con la costruzione del complesso industriale annesso specializzato nella lavorazione del ferro. Più a sud, presso [[San Salvo]] è stato creato il complesso industriale Pilkington ed a [[Cupello]] la zona industriale "Val Sinello", Sono stati costruiti nuovi quartieri residenziali, vista la crescita demografica, tra i primi ci fu quello dei Salesiani a nord, con il conseguente sviluppo del contado dell'Incoronata con il polo ospedaliero.<br>Nei primi anni della costruzione delle nuove strutture amministrative, scolastiche eccetera, fu molto attivo anche Carlo Della Penna.
[[File:Vasto 2011-08 by-RaBoe-029.jpg|thumb|Le terme romane di Vasto, scoperte tra il 1975 e il 1997]]
Della Penna si impegnò per realizzare nel [[1955]] l'istituto dell'Infanzia per l'educazione giovanile, la cui missione venne portata più avanti dall'Opera Salesiana. In contemporanea con lo sviluppo economico, tra il [[1975]] e il [[1997]] affianco la chiesa di Sant'Antonio di Padova vennero scoperte le antiche [[terme di Vasto]], frutto di scavi e studi universitari che tenevano alla riesumazione dell'antico passato romano della città. Tra le opere scoperte ci sono i pavimenti musivi con figure marine e di mostri, e la figura più famosa del [[Nettuno]] (1997).

Nell'estate [[1995]] Vasto compì un'ulteriore passo verso lo sviluppo turistico al livello nazionale, inaugurando il primo parco acquatico del sud Italia, ossia l'[[Aqualand del Vasto]]. Nel frattempo il centro storico, per l'apertura di strutture commerciali più ampie, rischiò lo spopolamento e il degrado, e solo un piano di recupero dei primi anni 2000, inserendo il comprensorio nel progetto "Terre del Trigno-Sinello", insieme ad altri borghi circostanti, sviluppato in contemporanea dell'afflusso sempre più copioso di turisti non solo nella città nuova e nell'Aqualand, ne ha permesso il quasi totale di recupero. Nel [[1974]] inoltre il [[Palazzo d'Avalos]] era stato venduto dai nobili proprietari al comune, che lo restaurò, aprendoci un complesso di Musei Civici sulla storia di Histonium e sul costume locale vastese.<br>Negli ultimi anni Vasto è comparsa sulle cronache nazionali per episodi di violenza a causa delle minoranze napoletano-pugliesi che hanno popolato negli anni i quartieri nuovi più degradati, nel [[2014]] per l'episodio dello spiaggiamento di un gruppo di balene presso Punta Penna, e nel [[2017]] per il grave fatto di cronaca dell'omicidio di Italo D'Elisa da parte di Fabio Di Lello, per la vendetta dell'investimento mortale della consorte. Omicidio conclusosi nel [[2018]] con la condanna dalla Corte di Assise e d'Appello dell'Aquila a 30 anni di carcere, dopo la condannja in primo grado presso la Corte del Tribunale di Lanciano.

== Note ==
<references/>

== Bibliografia ==
*Luigi Marchesani, ''Storia di Vasto, Città in Apruzzo Citeriore'' Napoli, Osservatore Medico, 1838
*Luigi Anelli, ''Ricordi di storia vastese'', Napoli, 1885
*Flavia Luise, ''I d'Avalos. Una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento'', Liguori, 2006, ISBN 9788820739782
*Costantino Felice, ''Vasto'', Donzelli, 2010, ISBN 9788860365514



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